19/12/2016

Vita è... un amico diverso (che molti vorrebbero uccidere)

Avevo vent’anni. Come molti ventenni avevo capito tutto della vita: questo mondo fa schifo, Dio forse c’è, ma se c’è se ne infischia del genere umano (somigliava molto alla Natura matrigna di leopardiana memoria), la gente è falsa ed egoista, bisogna sviluppare muscoli e cervello per essere “sopra” agli altri e non lasciarsi ferire, finché dura. E poi un bel balzo nel nulla e non se ne parla più (perché ... «a me la vita è male», sempre per dirla col poeta).

Ero una bella ragazza, abbastanza intelligente e brillante negli studi, con fidanzato, amici, un discreto benessere economico, non amante della discoteca, ma delle feste sì, degli abiti alla moda... risparmiavo sulle sigarette e sulle “paghette” per comprarmi di tanto in tanto qualche borsa griffata. La festa delle feste, per me, era il Capodanno: da organizzare a puntino con amici simpatici “selezionati” e un bel vestito nuovo.

Poi un giorno un incontro che ha sconvolto la mia vita, con una ragazza cerebrolesa: la conferma che Dio, se c’è, è cattivo. Che avrà fatto di male la poveretta per dover vivere una vita così? Ma allora, da qualche parte, nel profondo, è sorta una contro domanda: ed io che ho fatto di bene per non essere così?

La risposta, ancora, dopo trent’anni, non è mai arrivata. Ma la mia vita è cambiata. Ho cominciato a frequentare quella ragazza e tanti altri ragazzi come lei, più o meno feriti nelle facoltà mentali: ero entrata in una delle “comunità d’incontro” del movimento “Fede e Luce”. Nella semplicità delle occasioni di un pranzo o una gita insieme ho cominciato a provare una gioia indescrivibile e inaspettata. E più conoscevo queste persone, più mi convincevo che un senso doveva esserci, anche se non lo capivo. Più le frequentavo e più mi rendevo conto che tutta la mia vita intellettuale e nichilista era niente.

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La vita, quella vera, è fatta di rapporti umani, è fatta di amicizia e di amore. Da quell’incontro in poi le vacanze più belle (d’estate e a Capodanno) erano con loro, con i miei amici handicappati (e un paio di vecchi blue jeans andavano più che bene...). Molti mi consideravano una pazza, alcuni una santa: sbagliavano tutti. Ero diventata, finalmente, una persona che ama la vita.

Da allora, la vita è diventata bella. Anche se versavano in condizioni che chiunque chiamerebbe «una sfortuna totale», le persone che tutti giudicano inferiori, e molti sostengono che vivano una vita non degna di essere vissuta, mi hanno insegnato la gioia vera, la pace, la libertà dai vestiti e dalle forme, l’importanza dell’essere più che dell’apparire. Ho imparato che tutto è utile, ma nessuna cosa (proprio perché è una cosa) è indispensabile. Mi hanno insegnato l’accoglienza, mi hanno insegnato a soffrire poco nei grandi dolori, e a essere infinitamente felice nelle piccole cose quotidiane che prima non sapevo neanche vedere.

Se il migliore amico, l’amico del cuore, è quello che ti dà di più, io posso dire con certezza che i miei migliori amici sono delle persone “diverse”: c’è chi le considera inutili, fastidiose, a volte un po’ repellenti. Invece sono compagni di viaggio insostituibili che ti insegnano a vivere. Quello che serve è un sorriso, una stretta di mano, una lacrima, un dolore, un disagio condiviso, del tempo trascorso insieme, uno scoprire dentro l’altro, dietro l’apparenza, un cuore che batte, che è esattamente uguale al mio e che solo lì dentro, nel profondo, ma insieme, riesce a trovare l’Infinito.

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Francesca Romana Poleggi

Fonte: Notizie ProVita, settembre 2014, p. 13


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