15/04/2015

Aborto: la parola al... bambino mai nato

Parlare di aborto non è mai facile.

Lo si può fare in vari modi: partendo dal dato scientifico, proponendo una testimonianza, sviluppando argomentazioni filosofiche… ma anche dando voce a un bambino abortito, mettendosi nei suoi panni.

Questa operazione è stata compiuta da diversi giornalisti, tra i quali Aldo Maria Valli, che nel 2008 pubblicò su Il Foglio un racconto dal titolo: Parola di un bambino mai nato. Iniziava così: “Permettete che mi presenti. Mi chiamo… già, come mi chiamo? A dire il vero non lo so. Qualcuno mi chiama embrione, qualcuno feto, qualcuno prodotto del concepimento (che razza di nome!), qualcuno bambino. Potessi scegliere, sceglierei bambino. Ricordo bene che la mia mamma mi chiamava così, ‘il mio bambino’, quando ancora stavo dentro di lei”.

In questo scritto complesso ma godibilissimo, il vaticanista sviluppa riflessioni sulla vita, sulla morte, sull’aborto, sull’eutanasia, sulla Ru486, sul testamento biologico… e lo fa con tono sereno e pacato, seppure saldo sui valori non negoziabili.

Nel parlare dell’aborto, ad esempio, Valli non lascia spazio a dubbi: “[…] l’uomo incomincia con la singamia, che sarebbe la fusione di spermatozoo e ovocita. E lo zigote ha fin da subito un orientamento, una sua organizzazione, rivolta al futuro. Si mette al lavoro immediatamente, senza “pre” e senza ma. Non c’è un indistinto ‘grappolo di cellule’. C’è un progetto di vita in possesso di un’identità data dal patrimonio genetico.

Non è vero che si tratta di una vita potenziale, come sostiene qualcuno. È una vita in atto! E così la scienza ci dà le basi, le fondamenta concrete sulle quali possiamo costruire un discorso a proposito dello statuto dell’embrione umano. Il che significa rispondere alla domanda: chi è l’embrione? La risposta certa è che l’embrione è un individuo umano”.

Bludental

Eppure quando si dibatte di questo delicato tema in molti sostengono che a prevalere dovrebbe essere il diritto di autodeterminazione della donna. In sintesi propongono una gerarchia di valore: la vita e il diritto di scelta della madre valgono più della vita e della voce silenziosa del bambino che porta in grembo. Tuttavia questo ragionamento poggia su basi molto fragili, che vorrebbero che l’embrione non venisse considerato un essere umano, un’affermazione che – si è visto – non regge di fronte all’evidenza.

Il vero centro della questione è invece quello di aiutare le donne a diventare madri.

Questo secondo due prospettive: da un lato favorendo una presa di coscienza circa le responsabilità derivanti dalle proprie azioni e circa la propria posizione di persone adulte, ossia chiamate a proteggere l’essere più debole in causa; dall’altro approntando specifiche misure atte a favorire la maternità. Così facendo si avrebbe un vantaggio su diversi piani: per la donna, per il bambino, ma anche per la società nel suo complesso. Scrive ancora Aldo Maria Valli: “Il diritto di una donna, di una mamma, dovrebbe essere quello di far nascere il suo bambino, non quello di non farlo nascere. Quello di non farlo nascere è un falso diritto, è un non diritto, è un avere diritto al nulla, alla morte, alla negazione della vita.

Mi sembra che in giro ci sia molta gente interessata più a questi non diritti che non al diritto vero. C’è più gente interessata alla morte che alla vita, più gente che chiede di far avanzare il nulla piuttosto che l’essere. […] Se il nulla prevale sulla vita, se la morte si fa strada al posto del nascere, entriamo in una galleria buia senza sapere dove ci porterà. E le gallerie buie riservano sempre brutte sorprese. Succede anche di scoprire che non ci sia l’uscita. C’è il buio e basta. E a quel punto non puoi neanche fare marcia indietro”.

L’aborto è una scelta di morte che non è più possibile cambiare. Certamente è un gesto che ogni donna può rielaborare, ma che rimarrà comunque indelebile nella memoria.

La vita genera vita, mentre la morte non genera nulla. “Io credo – scrive Valli – che con l’aborto, con questo atto di violenza, di rottura e di sopraffazione verso la vita nel suo stato primigenio e più innocente, verso la vita quando è proprio vita che sgorga con tutta la potenza e la meraviglia della creazione, introduciamo in noi stessi e nel mondo una carica esplosiva di male. Introduciamo un’ingiustizia così grande e così radicale che non può non riverberarsi su tutto e su tutti. Ogni violenza e ogni uccisione, comportando una carica crescente di dis-ordine rispetto al disegno complessivo, introduce ombra al posto della luce e male al posto del bene. Ma l’aborto lo fa nella misura più grande e più temibile. Sopprimendo volontariamente proprio al suo inizio una vita totalmente indifesa e tanto desiderosa di sgorgare, noi facciamo violenza a tutta la natura ed è una violenza devastante, è uno sfregio profondissimo, una ferita non rimarginabile e sempre più purulenta, dalla quale si diffondono germi di male che ci colonizzano sempre di più”.

Al giorno d’oggi viviamo in un mondo che ha sempre più perso di vista il concetto di “persona”. La velocità in cui siamo immersi, la fluidità di relazioni, l’indeterminatezza, la perdita dei valori e tanti altri fattori ci stanno portando verso una sempre più profonda perdita dell’“umano”. Le persone sembrano non esistere più in quanto tali, dal momento che la loro dignità intrinseca non viene più presa in considerazione. Così si va perdendo quell’unicità che ha sempre differenziato l’uomo dagli animali e della macchine e che è alla base della bellezza del vivere: un’unicità che va riconquistata, per il bene di tutti.

 Giulia Tanel

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