15/01/2019

Bioetica, Samek Lodovici: «Quanto incidono le leggi sulla cultura dominante»

L’avanzata della cultura della morte, la reazione del “popolo della vita”, il rapporto tra legge, morale, politica ed educazione nella promozione di una civiltà della vita. Questi e altri temi di bioetica sono stati sviluppati a colloquio con Pro Vita da Giacomo Samek Lodovici, docente di Storia delle dottrine morali e di Filosofia della storia all’Università Cattolica di Milano. Lo studioso si è anche soffermato sugli ultimi sviluppi riguardo alla clonazione umana, ricordando che, anche questa pratica, pur motivata dall’esigenza di migliorare la cura dei malati, non è moralmente giustificabile, in quanto costringe all’uccisione di esseri umani.

Prof. Samek, come giudica gli ultimi sviluppi della “cultura della morte”? C’è un filo rosso che lega aborto, eutanasia, utero in affitto e altre discutibili pratiche?

Io penso che in queste pratiche ci siano diversi elementi in comune e ne cito almeno due. Da un lato, il misconoscimento della dignità di ciascun essere umano, cioè della sua preziosità incommensurabile per il suo solo esserci (e non per la qualità della sua vita): come dice efficacemente Kant, mentre le cose hanno un prezzo, cioè un valore che (a volte) può anche essere enorme ma che è quantificabile-misurabile, invece è incommensurabile la preziosità di ogni singolo essere umano che (per ragioni che sarebbe lungo spiegare) vale più di tutti i capolavori artistici esistenti sulla faccia della terra, e dunque non deve essere ucciso o mercificato per nessun motivo.

E l’altro elemento comune?

Dall’altro lato c’è una concezione libertaria della libertà, cioè l’erronea identificazione tra il bene morale e il mero esercizio della scelta. In tal modo, si arriva gradualmente a giustificare qualunque contenuto di scelta (compresi aborto, eutanasia, utero in affitto, ecc.) per il solo fatto di essere ‘liberamente’ scelto. La logica diventa: «scelgo perché scelgo e ciò che è scelto vale perché è scelto» e ogni desiderio rivendica di diventare un diritto. Ora, la scelta dell’aborto e dell’eutanasia a volte matura in condizioni drammatiche e difficili, che comportano delle attenuanti morali, ma a volte matura invece proprio come frutto di libertarismo e misconoscimento della dignità umana.

Quale ritiene possa essere la via maestra per contrastare i fenomeni menzionati? Sono più efficaci le battaglie giuridico-politiche o quelle di tipo culturale-mediatico, magari veicolate da messaggi positivi?

L’educazione e la cultura sono fondamentali e imprescindibili (non a caso il sottoscritto fa il docente), ma ritengo che la strategia giusta sia non già l’aut-aut bensì l’et-et: sia la cultura-educazione, sia le manifestazioni e le battaglie politico-giuridiche.

Perché?

Da un lato, quando la cultura maggioritariamente prevalente contrasta con una legge anti-life, quest’ultima viene trasgredita molto spesso da soggetti che cercano di restare impuniti. Viceversa, pur in presenza di una legge che consente pratiche anti-life, se tuttavia si diffonde con grande energia una cultura pro-life, il ricorso alle pratiche anti-life consentite dalla legge può calare drasticamente. Inoltre, se una cultura è prevalentemente anti-life, una legge pro-life ottima ha davvero poche possibilità di resistere nel tempo alla volontà di smantellamento dei parlamentari di turno.

E qual è l’importanza delle leggi?

Dall’altro, anche le leggi hanno una notevole incidenza sulla cultura perché creano mentalità: non soltanto disciplinano le situazioni sociali, ma inoltre le modificano, cioè esercitano un forte impatto sui modi di pensare e valutare, e quindi sul costume, un impatto che dipende dal messaggio che esse esprimono, dato che molto spesso il ragionamento dell’uomo medio è «se un’azione è legale/illegale allora è anche morale/immorale». In più, le leggi influiscono sui comportamenti perché sanzioni e pene hanno un’evidente efficacia deterrente. Depenalizziamo i furti e stiamo certi che aumenteranno clamorosamente. Similmente, le uccisioni eutanasiche nascoste ci saranno sempre, ma saranno sempre molto meno numerose di quelle praticate dove l’uccisione eutanasica è legale. Insomma, come diceva Eraclito, «il popolo deve combattere per la sua legge [se è giusta] come per le mura della città». E le manifestazioni di popolo pro life e pro family riguardo a una legge possono (se fatte bene) invertire la rivoluzione antropologica degli ultimi decenni.

Negli ultimi mesi hanno fatto molto discutere gli ultimi sviluppi sulla clonazione. Si arriverà davvero alla clonazione umana oppure, anche nella comunità scientifica e tra le élites, potrebbero prevalere gli scrupoli morali?

Ho letto che un caso di clonazione umana è purtroppo già avvenuto, nel 2013 (cfr. D. Cyranoski, Human stem cells created by cloning, «Nature», 15.5.2013); per il resto non sono in grado di fare pronostici sul piano della realizzabilità tecnica. Ma pensare che tutta la comunità scientifica e le élites abbiano remore morali è illusorio. Il misconoscimento della dignità umana e la logica libertaria di cui ho parlato prima portano su un piano inclinato interminabile.

Quali interessi potrebbero esserci dietro la stessa clonazione umana?

Per esempio, quello di avere a disposizione degli organi perfettamente compatibili per realizzare i trapianti. Uccidere un essere umano clone di un altro, anche se per espiantare i suoi organi e curare qualcuno, è gravissimo. Guarire una persona è un fine buono e dobbiamo essere addolorati per la sofferenza di un malato, dobbiamo fargli sentire la nostra vicinanza e prestargli il nostro aiuto. Ma un fine buono non giustifica dei mezzi cattivi. Anche se il termine può sembrare eccessivo, tale pratica è una forma di vampirismo.

Luca Marcolivio

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