08/11/2018

Cartelloni, quelli di Pro Vita si possono rimuovere. Gli altri sono intoccabili anche se di cattivo gusto

I manifesti di Pro Vita? Ma per carità, è robaccia offensiva, omofoba, lesiva della libertà altrui. Tutto il resto, di qualunque cosa si tratti, va invece benissimo, anzi è arte e guai a chi la tocca. No, non è una provocazione bensì il messaggio che passa – e condiviso da diversi cittadini, tra l’incredulo e l’indignato – osservando, negli stessi giorni in cui la cartellonistica contro l’utero in affitto è stata oggetto dell’indignazione di tanti, quella affissa fuori dall’autostazione delle corriere di Bologna, su viale Masini, a due passi dalla stazione centrale dei treni.

Trattasi delle opere di Miss Me, street artist canadese, esposte in partnership con il Festival della Violenza Illustrata che si terrà in città dal 7 novembre al 4 dicembre. In estrema sintesi, quello che si è vede è un muro interamente dipinto di sangue e costellato di donne tatuate, seminude e ritratte con le orecchie da Mickey Mouse e il passamontagna. A condire il tutto, una serie di slogan non esattamente pacifici e concilianti quali «Fuck you’re judgment», «It’s not me, it’s you» e «Taci, anzi parla».

Ora, dinanzi a queste opere, le osservazioni critiche potrebbero essere molteplici. Ci si potrebbe per esempio chiedere – essendo Bologna una città d’arte e col turismo in espansione – quale impressione possa restare nella mente di un visitatore quando, giunto in stazione, si imbatte in uno spettacolo come quello di cui si è detto. Senza dimenticare che, proprio in quella zona della città, transitano regolarmente giovani universitari e giovanissimi che si recano alle scuole di ogni grado, nonché bambini che vanno alle vicine scuole elementari. Ebbene, come si ricorderà, a Roma i cartelloni antiabortisti, con l’immagine di un bimbo nel grembo materno, furono rimossi perché – così si è detto – essi urtavano la sensibilità e libertà delle persone; allo stesso modo, secondo alcuni, i camion vela di Pro Vita urtavano e andavano fermati, e per la stessa ragione il Bus della Libertà andava e va fermato. Ma invece chi si sente urtato dalle opere di Miss Me? E chi trova di cattivo gusto realizzazioni che, di fatto, veicolano un messaggio di conflitto anziché di alleanza tra i sessi, in quale modo viene tutelato? La sua sensibilità non vale proprio nulla?

In attesa di saperne di più, l’impressione che se ne ricava – come si diceva poc’anzi – è quella sconfortante per cui, allorquando vi sono di mezzo opere ed esposizioni in salsa femminista, come quelle di Miss Me, non esiste limite di buon gusto e decenza che non possa essere tranquillamente oltrepassato. Limitare l’arte, si dice, sarebbe infatti automaticamente liberticida e repressivo. Giammai. Peccato che, come le recenti e infelici esperienze di Pro Vita, ma anche di Generazione Famiglia e CitizenGo insegnano, questo metro assai permissivo non valga quando di mezzo c’è un messaggio pro family o pro life.

In quei casi, infatti, viene seduta stante ripristinato un clima da Inquisizione laica 2.0 tale per cui tutto ciò che risulta politicamente scorretto diviene, a seconda dei casi, fuori luogo oppure offensivo e, comunque, meritevole di essere rimosso. Il che, oltre che ingiusto è anche paradossale. Si pensi infatti non solo a quei fotografi e a quei pubblicitari che hanno fatto delle provocazioni la loro fortuna anche economica – l’elenco sarebbe davvero lungo, meglio sorvolare -, ma anche a che cosa accadrebbe se a finire nel mirino fossero iniziative per promuovere le istanze Lgbt o, come nel caso di Bologna, opere di denuncia femminista. Sarebbe il finimondo, letteralmente. Quando invece ci sono di mezzo messaggi di puro buon senso, tutto può succedere. Una dittatura culturale si va così instaurando, e non fa nulla per nascondersi.

Giuliano Guzzo

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