14/12/2016

Da Femen a pro-life: un’incredibile storia di cambiamento

Femen non si nasce, se proprio lo si diventa. Ma da tutto questo si può anche “rinsavire”, come ci testimonia il cambiamento di vita di Sara Giromini (pseudonimo Sara Winter).

Si dava per scontato che avrebbe fatto parlare di sé grazie alla famosa foto delle due “lesbiche in croce” realizzata nel 2014. L’episodio immortalato raffigura Sara insieme a un’altra militante, durante un provocatorio bacio tra le due donne seminude vestite di una corona di spine, entrambe appese a un’artigianale croce nera, dinanzi le porte della Basilica di Nostra Signora della Candelaria, a Rio de Janeiro. Il tutto accadde durante un evento a favore dei diritti omosessuali e presto l’immagine venne utilizzata come simbolo di avversione e disprezzo nei confronti del cristianesimo.

Sara Giromini è stata protagonista di diversi episodi di protesta nelle strade brasiliane e il suo volto richiama una certa rappresentanza del mondo lgbt, in quanto fondatrice della sezione locale del movimento femminista radicale “Femen”.

Il movimento delle Femen è famoso per le numerose e volgari manifestazioni pubbliche che ha messo in atto ed è da poco stato smascherato grazie al lavoro di giornalista ucraina infiltrata, che in un documentario racconta come alle spalle delle azioni di protesta delle Femen vi sia in realtà un paradossale gioco di sottomissione, in totale contrapposizione con gli slogan delle attiviste. A dimostrarlo anche il film-documentario L’Ucraina non è un bordello di Kitty Green, uscito nel 2014, che sconfessa crudelmente ciò che si cela dietro le manifestazioni del movimento: un uomo-padrone (Viktor Svyatskiy), che paga e recluta donne esclusivamente bellissime e giovanissime (a discriminazione di molte altre politicamente interessante e ben disposte a servire la causa), le quali si prestano alle sue indicazioni spesso ignorando completamente quali siano le radici e i significati associati alle parole che si dipingono sul corpo o che urlano nelle strade. Emerge un rapporto di sudditanza e assuefazione nei confronti di questa figura maschile, del tutto lontana dall’idea di uomo capace di rispetto, tant’è che lo stesso Viktor ammette una condizione di dipendenza resa possibile per lo più dalla fragilità delle stesse ragazze, sulla quale fa leva la sua indole.

Dopo queste righe sembrerà ancor più incredibile quanto la voce della Verità sia capace di farsi udire prepotentemente anche da coloro che sembrano sordi dinanzi a quei suoni. Sara Giromini è stata per diversi anni la punta di diamante, il volto, delle femen brasiliane e per le compagne il suo viso era la libertà sessuale, la fluidità di genere, il diritto all’aborto, il dominio sul proprio corpo e l’odio nei confronti dei conservatori, in modo particolare cristiani.

Oggi di Sara si può parlare con termini nuovi: l’incontro-confronto recente con un’antifemminista, capace di dimostrare cosa significhi voler bene gratuitamente e incondizionatamente, ha aperto gli occhi della ex-Femen, dandole ciò che nessuna precedente lotta o comunione di ideali le aveva mai saputo rendere. Quello spirito combattivo che aveva animato i suoi ideali pro-choice, venne completamente smantellato dalla nascita del secondo figlio (il primo lo ha abortito), che ha rovesciato ciò che prima si inneggiava come neutro diritto esclusivo della donna sull’unica vita in gioco (la sua), a quello che la gestazione è: nove mesi di vita che supplicano di essere amati, accolti, accettati e che silenziosamente urlano perché si riconosca che loro sono già parte di questo mondo.

L’appello che ora Sara fa alle donne è di non farsi ingannare: sopprimere un’altra vita non è mai una scelta, non può incarnare nulla se non una profonda violazione della libertà e della dignità dell’essere umano per voce di chi apparentemente si mostra a sua difesa. E ne parla da testimone, pentita di essere caduta lei stessa in questo tranello ideologico tossico che «non uccide solo il bambino, ma uccide sua madre». Una posizione quindi completamente paralizzante verso la vera tutela delle donne che, tra i vari diritti riconosciutegli, dovrebbero serenamente vantare la garanzia di una completa e onesta informazione su ciò che si prestano a compiere e sulle ricadute mortifere che la tragicità dell’aborto scaglia direttamente sulla loro persona.

Quello che vediamo attualmente è una giovane madre prolife armata non di teorie, ma di esperienze agli antipodi vissute singolarmente che, proprio in ragione del loro contrasto, rendono a lei evidente e chiaro chi difendere, da cosa proteggere e come aiutare le donne. È ciò che più volte ha dichiarato Sara, sia nel suo testo “Vadia Não!, sia in molteplici apparizioni/dichiarazioni pubbliche (compresi i video-testimonianza diffusi su YouTube, tra cui uno in cui chiede scusa ai cristiani): nelle sue parole tuonano le condanne al mondo del femminismo radicale, delle Femen, taciuto a chi esternamente può esclusivamente farsi spettatore inerme a fronte di uno scenario tra i tanti.

femen_altare_Natale_MessaLa giovane rivela che, alla chiusura del sipario, lei – come moltissime altre Femen – dovevano fare i conti con un contesto, una “setta”, così come la definisce, dove le donne sono considerate come oggetti, “materia prima”, merce senza valore «convenienti e utili per infiammare l’odio contro gli uomini, contro la bellezza delle donne, contro la religione cristiana, contro l’equilibrio delle famiglie». Nel suo racconto toglie il velo di un movimento che l’ha spinta ad assumere comportamenti bisessuali per ottenere maggior visibilità all’interno del gruppo, a discapito della propria identità eterosessuale, che veniva man mano scomposta in parti sconnesse con il binomio intenzione-azione che in sé non trovava più chiara corrispondenza. Oltre a questo, nel testo, parla di altre situazioni limite alle quali è stata costretta più volte: prostituzione, droga, molestie per mano di donne e, in generale, di ambienti promiscui dove il laissez faire dirottava a situazioni degenere oltremodo deleterie.

«La cosa più saggia del mondo è gridare prima del danno. Gridare dopo che il danno è avvenuto non serve a nulla, specie se il danno è una ferita mortale» (G. K. Chesterton)

Sara ha ripulito la sua vita da ex-Femen conferendole uno statuto opposto rispetto a quello passato, attuandolo: ha chiesto perdono ai cristiani e a tutte le sensibilità da lei precedentemente offese attraverso le sue azioni e ha preso in mano i danni visibili e invisibili, rigenerandoli in uno slancio attivo verso la vita.

Una delle più influenti attiviste pro-life è una giovane madre che ha toccato con mano l’illegittimità costitutiva di qualsivoglia battaglia che comporti la lesione della vita umana altrui, diritto fondamentale e inviolabile. Una libertà non è mai squisitamente libera se richiama la distruzione di un diverso essere umano e la conseguente invasione del suo confine di libertà e autorità. Come dice Chesterton, non è pensabile mantenersi indifferenti o tiepidi per de-responsabilizzarsi agli occhi di una realtà pervenuta e conosciuta. La coscienza non ha bavagli capaci di ingannare se stessa e qualsiasi tentativo incline a occultare il suo naturale sentire la tracotanza apposta all’esclusione che alcuni autorizzano a compiere su altri e di altri navigando la rotta della soluzione sempre fattibile e del desiderabile: il medesimo tentativo infatti ricadrà su se stesso.

Nel momento in cui l’espressione di un’ingiustizia si mostra a noi, abbiamo il dovere di gridare per annientare il danno e proteggere chi è vivo e chi aspetta di vivere. Quale sarà il risultato? Come dice Sara, una felicità molto più autentica!

Giulia Bovassi



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