28/02/2014

Dieci anni dopo l’approvazione della legge 40

… A nessuno passò per la testa che, da cattolici ligi al quinto comandamento, si potesse  proporre   il divieto  di pratiche  che uccidono.  Invece che contrastare il male tout court si lavorò per proporre e perseguire il male minore, nella marasmatica confusione dei ruoli

Con il pianto nella voce, al suono delle chitarre cantavano “Hanno ucciso i nuovi Ebrei, hanno ucciso i fratelli miei “. Erano  i giovani del movimento per la vita  che in  quel 18 maggio 1978 avevano atteso davanti  a Palazzo Madama l’esito della votazione  sulla legge 194 che depenalizzava l’aborto volontario. Per tutto il giorno erano rimasti lì,  di fronte al Senato, sperando fino all’ultimo  che mancasse qualche voto,  che qualcuno ci ripensasse,  che la legge assassina non passasse. E invece no.  Il 22 maggio il presidente Leone la promulgava.

I vescovi italiani, pochi giorni dopo, nel messaggio conclusivo dell’Assemblea generale,  pronunciavano solennemente :” Di fronte alla legalizzazione dell’aborto,  che con tanta ostinazione si è voluto introdurre anche nel nostro Paese,  la Chiesa non si rassegna,  non può rassegnarsi” . E istituirono la giornata per la vita.

L’Avvenire di Piergiorgio Liverani, negli anni che avevano  preparato la vittoria dell’abortismo, aveva condotto una campagna contro la legalizzazione dell’aborto con  interventi   quasi quotidiani, per informare, per battersi in difesa della vita, dando voce ai lettori che  manifestavano la loro protesta  e denunciando  le falsità, le mistificazioni che i fautori dell’aborto libero diffondevano nell’opinione pubblica.

Chiaro e univoco il messaggio  in quei  tempo. L’aborto era un abominevole delitto e non c’era legalizzazione che potesse cambiare la realtà dei fatti. La 194 era una legge  integralmente iniqua.

C’erano stati sì, durante l’iter legislativo, alcuni parlamentari che  avevano lavorato per la  riduzione del danno. Gozzini, La Valle, Codrignani,  per fare qualche nome, cattolici rigorosamente adulti,  intruppati   nella sinistra indipendente, che si erano illusi, abboccando   all’esca  degli abortisti, che la socializzazione dell’aborto avrebbe eliminato l’aborto clandestino e tutelato le donne e si erano adoperati  per fare “una buona legge” introducendo l’obbligo  di una consultazione preventiva  per la donna, la ricerca  di alternative all’aborto, il tempo di riflessione e via discorrendo. Cose che, nell’intenzione dei proponenti , avrebbero dovuto introdurre sostanziali cambiamenti nella stesura definitiva della legge, ma che  ben presto  si rivelarono  per quello che erano: una  mera operazione di cosmesi  che,  con l’introduzione  nell’articolo 1  della  dicitura “ tutela la vita umana dal suo inizio”   toccò l’acme della comicità, se  è lecito usare  questo   termine di fronte ai quasi sei milioni di  bambini uccisi da  allora ope legis.

Poche  voci  discordanti, tuttavia, nell’unanime coro dei no alla legge 194 che in quei giorni si levava dal mondo cattolico.

Completamente rovesciata la situazione per la legge 40 sulla fecondazione artificiale, approvata nel febbraio di dieci anni fa. Come  già aveva dichiarato  l’Istruzione Donum vitae nel 1987 e come ribadisce chiaramente la Dignitas personae nel 2008 , le tecniche di riproduzione  artificiale  aprono la porta a  nuovi attentati contro la vita. La percentuale di embrioni  prodotti  in laboratorio  e destinati a morte certa è altissima. La fivet è incontrovertibilmente una  fabbrica di aborti. Né vale affermare che l’aborto uccide perché ha l’intenzione di uccidere, mentre la fivet ha tutt’altra intenzione, a meno che non si sia machiavellicamente  convinti che il fine giustifichi il mezzo.

Eppure  la legge 40 trovò la quasi totalità del mondo cattolico  a sostegno. Salvo una sparuta schiera di dissidenti, emarginati e censurati,  il mondo cattolico, quotidiano della CEI in testa,  affrontò con entusiasmo  l’iter  per l’approvazione della legge producendo progetti, promuovendo alleanze  più o meno trasversali, impegnandosi  nell’erigere paletti,  per escludere  le pratiche più aberranti  quali  la crioconservazione,  la sperimentazione, la  fecondazione eterologa, e  che nelle intenzioni avrebbero dovuto salvaguardare l‘embrione i cui diritti venivano ribaditi – anche  qui! – proprio nell’articolo  1 della legge. A nessuno passò per la testa che, da cattolici ligi al  quinto comandamento, si potesse  proporre il divieto  di pratiche  che uccidono.  Invece che contrastare il male tout court si lavorò per proporre e perseguire il male minore, nella marasmatica confusione dei ruoli. Quello dei  politici che, in quanto tali, nelle Aule  parlamentari  devono fare i conti con le votazioni e i  numeri, e quello dei Pastori  cui è stato affidato  il compito di illuminare le coscienze  circa la verità.

Quali  conseguenze   oggi   di   quel  vizio radicale  che segna la nascita  della legge 40?  Non son poche e  sono  gravi.

– In  dieci anni,  della   legge 40,  sotto i colpi della  sentenza 151/2009 della Consulta  e dei  vari  interventi  dei  giudici “creativi”  resta  assai poco .  I paletti sono stati   divelti quasi  per intero.  E’ ormai soltanto un involucro  destinato  a svuotarsi definitivamente   per le sentenze in arrivo  sulla possibilità di accesso all’eterologa.  Era prevedibile? certamente: se si apre una falla, il crollo dell’intera diga è solo questione di tempo . Si ritornerà  a quel far  west procreativo che si è voluto  a tutti i costi  superare, con buona pace dei fautori della riduzione del danno.

– I  credenti che ancora  si   impegnano per  seguire il Magistero,  anche   per i temi che riguardano la morale  sessuale,  sono stati tratti in inganno: è diffusa e ben salda l’opinione, anche  fra i  sacerdoti  e i religiosi,  che la fivet  purchè  omologa, così  fervidamente  esaltata e contrapposta   all’eterologa, sia cosa  buona e lecita. Da propagandare addirittura.

-Avvenire, il quotidiano della CEI , impegnatissimo a rinsaldare l’opinione di cui sopra,  nell’impossibilità di smentire se stesso  e il ruolo svolto in questi  dieci anni,  continua imperterrito a proclamare che la legge 40 è ancor più necessaria, ad affermare trionfalmente che  cresce il numero delle coppie che accede alla fivet,  ci propina  penosi  editoriali  sulla legge cattolica/non cattolica,  pubblica tabelle  sulla differenza   tra bimbi nati ed embrioni prodotti (sic!)  con cifre agghiaccianti.

C’è un ultimo, ma non meno grave fatto  da sottolineare . In questi  dieci  anni  che hanno fatto seguito all’approvazione della legge 40, abbiamo assistito  indubbiamente  ad una  deriva  del mondo cattolico  anche nei confronti della legge 194. Occorrerà magari discutere  sul  post o protper hoc, ma è evidente  che in questi ultimi dieci anni, e proprio da parte di estimatori della legge 40, non esclusi  Uomini della Chiesa, anche la legge 194 ha ottenuto  qualche sdoganamento.  Una delle  migliori del mondo,  è stata definita, una legge con parti buone da applicare,  una legge di cui non  invochiamo certamente l’abrogazione,  una legge che non crea certamente il diritto di aborto e via di questo passo. Certo, sono  due leggi, la 194 e la 40, moralmente e giuridicamente sullo stesso piano.  Se si giustifica la 40, perché no, la 194?

Un bel rovesciamento di prospettiva, insomma. Dov’è finita la chiarezza, dove il rigore cui avrebbero diritto  coloro che ancora si ostinano a rimanere fedeli al Magistero?

di Marisa Orecchia

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