24/10/2013

Due “padri” o due “madri”? Bocciati!

Douglas W. Allen,  un economista della Simon Fraser University, a Vancouver, Canada, ha da poco pubblicato nel giornale Review of Economics of the Household uno studio che solleva forti dubbi sul fatto che non ci sia differenza per i bambini nel crescere in famiglie eterosessuali (o genitori single) o con conviventi  omosessuali.

In un’intervista a MercatorNet Allen spiega che gli studi finora pubblicati, circa 60, che mirano a dimostrare che per un figlio è indifferente essere educato da “genitori” di sesso uguale o diverso, sono scientificamente poco validi: si tratta di scritti ideologici, indirizzati a giuristi, legislatori e politici. Questi lavori sono stati molto pubblicizzati, mentre nessuna risonanza era stata data a quelli di Sotirios Sarantakos, che negli anni ’90 aveva rilevato molta più difficoltà, per i ragazzi cresciuti in famiglie gay, nell’apprendere la matematica e le regole linguistiche espressive. Per non parlare del campo delle devianze sessuali. L’unico lavoro scientificamente attendibile, tra i 60 suddetti, è stato quello di  Michael Rosenfeld, pubblicato su Demography nel 2010. Anch’esso concludeva che non c’è differenza tra genitori omo o eterosessuali, per l’educazione dei figli, per lo meno andando a studiare i dati relativi ai progressi e agli insuccessi scolastici degli adolescenti.

A questa conclusione hanno obiettato almeno per due questioni fondamentali  Joe Price, Catherine Pakaluk, e lo stesso Allen nel giugno di quest’anno. Come prima cosa hanno rilevato una grande confusione di dati, perché non si distinguevano le famiglie etero e omo dalle famiglie con i diversi e comuni problemi socio – economici (per esempio separazione e divorzio) che influenzano l’andamento scolastico dei ragazzi. Inoltre lo studio di Rosenfeld non teneva in considerazione i ragazzi che non vivevano da almeno cinque anni nello stesso contesto familiare: questo escludeva dall’indagine la maggior parte dei figli di coppie omosessuali. Incrociando da capo tutti i dati i tre studiosi hanno rilevato che i ragazzi con “genitori” dello stesso sesso vivono il 35% in più delle possibilità di essere bocciati rispetto agli altri. Inoltre,  in media, se si considerano 100 il numero dei laureati cresciuti con genitori etero o single, solo 65 sono quelli cresciuti da coppie gay. La cosa è poi moto più evidente per le ragazze piuttosto che per i ragazzi: distinguendo i maschi dalle femmine (finché è possibile!), sono solo 15 le laureate cresciute con conviventi gay. Questo dato meriterebbe un’analisi più approfondita da parte di psicologi e sociologi perché si potrebbe pensare che sono soprattutto le ragazze ad aver bisogno di un punto di riferimento sia maschile che femminile, in casa. Allen ha l’onestà intellettuale di asserire che non pretende che il suo studio debba essere considerato come una verità assoluta e incontrovertibile, ma invita la comunità scientifica ad approfondire, migliorare e sviluppare le sue conclusioni, in modo scientifico, obiettivo e veritiero, senza preclusioni ideologiche. Il problema è che  alle sue conclusioni non verrà data alcuna risonanza, ma anzi sono già oggetto di  forzature interpretative, stravolgenti in mala fede e attacchi politici ingiuriosi da parte di attivisti omosessualisti e intellettuali politicamente corretti. Già il suo Ateneo ha ricevuto pressioni affinché sia licenziato o “rieducato”: ma Allen si considera fortunato, perché è abbastanza stimato nel suo ambiente che è autenticamente “liberale”. Diversa sorte è toccata al sociologo Mark Regnerus autore di una pubblicazione analoga, fatta lo scorso anno, che è stato letteralmente crocifisso dai suoi colleghi. Ma lui è stato il primo e la sua analisi era a più ampio spettro, quindi si è tirato addosso tutti gli strali della cultura ipocrita oggi dominante.
In tale contesto tocca a ciascuno di noi dar voce alla verità: in casa, con gli amici, con i colleghi di lavoro.

di Francesca Romana Poleggi

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