27/05/2018

Embrione: uno “da” noi (e “per” noi)

L’embrione non è soltanto uno di noi, uno che nel suo DNA rivela già tratti specificamente umani, ma è anche, ed in modo determinante, uno da noi, uno che aspetta da noi una custodia speciale, vivendo per noi, unicamente tramite la madre che lo alimenta e gli permette di svilupparsi in autonomia fino aalla nascita e dopo fino ad essere da lei indipendente.

Questo elemento è per alcuni motivo di discriminazione. L’embrione proprio per il suo completo dipendere dalla madre, in particolare, nelle prime settimane, prima ancora che si sia impiantato in utero, non sarebbe ancora pienamente umano. Introducendo una differenza fra stadio embrionale e pre-embrionale, essi parlano di pre-embrione, una sorta di materiale umano pre-individuale e pre-personale, e, quindi, manipolabile e legittimamente sopprimibile, se tale fosse la volontà della madre.

È questa la questione dello status ontologico dell’embrione, che è anche questione giuridica dirimente e che si riconnette, a sua volta, ad un importante dibattito scientifico in sede biologica.

Essa solleva altrettante urgenti domande: cos’è l’embrione? Che nome vogliamo dargli: entità biologica, uomo, individuo, persona? È qualcosa o qualcuno? È da ascriversi al regno degli oggetti o a quello dei soggetti di diritto?

Embrione: una nuova, unica, entità biologica

Il Comitato nazionale di Bioetica in un documento intitolato Identità e statuto dell’embrione umano, del 1996, sostiene: «Ogni embrione derivato dalla fusione di gameti umani possiede sin dalla fase della sua costituzione zigotica un DNA che contiene sequenze specificamente umane. Questi sono dati biologici non controversi, che permettono di attribuire all’embrione una natura umana sin dalla fecondazione, anche perché il DNA è portatore di un programma di sviluppo che (...) condurrà alla formazione di un individuo umano completo...» (p. 11).

Dunque l’embrione è progetto umano, individuale, con una propria identità unica, che rimane la stessa lungo tutto il processo di sviluppo, anche dopo la nascita, indipendentemente dal numero delle cellule che lo compongono. Cosicché cambiano la quantità e la complessità dell’organizzazione, ma non l’identità biologica.

All’atto della fecondazione i 2 gameti dei genitori (maschile e femminile, non è superfluo ribadirlo!) formano una nuova entità biologica «che porta in sé un nuovo progetto-programma individualizzato (…) un nuovo progetto che si costruisce da solo ed è l’attore principale di sé» (E. Sgreccia, Bioetica. Manuale per medici e biologi).

Da quel momento lo sviluppo è autonomo e finalisticamente orientato, essendo caratterizzato da 3 proprietà:

  1. Coordinazione: «Si ha un coordinato succedersi ed interagire di attività cellulari e molecolari sotto il controllo del nuovo genoma»;
  2. Continuità: il ciclo vitale «procede senza interruzioni», secondo «una successione ininterrotta di avvenimenti»;
  3. Gradualità: siamo in presenza di uno «sviluppo di un progetto individuale unico», che «esige una regolazione intrinseca» (A. Serra, Per un’analisi integrata dello status dell’embrione umano: alcuni dati dell’embriologia e della genetica, in S. Biolo, Nascita e morte dell’uomo: problemi filosofici e scientifici della Bioetica).

Obiezioni e risposta

Ma c’è chi obietta che l’embrione, prima dell’annidamento in utero (che avviene di solito il ventesimo giorno), manca delle caratteristiche proprie di individualità che caratterizzano l’essere umano, in quanto, ad esempio, può produrre gemelli monozigoti. Si può rispondere che la divisione non avviene per un meccanismo evolutivo, ma contro il progetto genomico, il quale continua, si sviluppa e ripete in ognuna delle porzioni divise (i gemelli monozigoti).

C’è chi obietta ancora che l’embrione in quella fase può essere interrotto nel suo sviluppo. Si può rispondere che «questo non nega che l’embrione, se non fosse disturbato da cause esterne, continuerebbe a svilupparsi in maniera autonoma secondo il suo programma» (E. Sgreccia, Bioetica etc.).

In ogni caso, i latori di queste obiezioni presuppongono un criterio di valutazione che è fortemente influenzato da una visione antropologica centrata sull’individualità. Per loro il problema è se si possa parlare di individualità autonoma dell’embrione rispetto al corpo materno. E qui sottolineano la mancanza di una reale autonomia e di una reale individualità (per la possibilità, come detto, che possano da un unico zigote derivare più gemelli identici geneticamente).

Il punto è che in quella fase delicata di sviluppo l’essere dell’embrione è così strettamente intessuto con quello della madre, «che per il momento può sussistere assolutamente solo nella correlazione corporea con» lei in un’unità fisica, «che però non elimina il suo essere altro» e il suo essere se stesso. La sua individualità è, pertanto, «in modo radicale un essere dall’altro, mediante l’altro» (J. Ratzinger, La via della fede), totalmente dipendente nella sua vulnerabilità e fragilità, eppure così ostinatamente avvinghiato alle fonti della vita.

[Tanto è vero che – ahinoi – si assemblano embrioni in vitro e si coltivano per un certo numero di giorni in provetta: quindi sono organismi autonomi che hanno solo bisogno di calore e nutrimento per sussistere e crescere, anche senza la madre. NDR]

La dipendenza è una figura antropologica fondamentale che contrassegna la persona come tale. Perché – come scriveva John Donne – «nessun uomo è un’isola, intero in se stesso», del tutto indipendente e autosufficiente. «Ogni uomo è un pezzo del Continente, una parte della Terra. Se una zolla viene portata via dall’onda del mare, la terra ne è diminuita, come se un promontorio fosse stato al suo posto, o una magione amica o la tua stessa casa». L’uomo è sì individuo, perché è unico e irripetibile, distinguendosi dalle altre persone grazie alla corporeità, che consente, come pensava Tommaso, la materializzazione della forma, l’esistenzializzazione dell’essenza, l’incarnazione dello spirito, ma è anche relazione, perché il suo essere è dagli altri e per gli altri (ciò vale anche per la relazione particolare fra gemelli).

In questo anche l’embrione, per quanto piccolo, per quanto infinitamente inerme ed esposto, mostra il suo volto personale e chiede di essere riconosciuto moralmente e giuridicamente da noi.

Clemente Sparaco

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