09/05/2017

Embrioni in surplus diventano bijoux!

Baby Bee Hummingbirds è l’azienda australiana che dal 2014, grazie alla genialità della sua fondatrice Amy McGlade, offre la possibilità di creare gioielli con materiale di “scarto”, placenta, latte materno, cordone ombelicale, capelli, dentini e embrioni, cioè bambini molto piccoli, avanzati a coppie che hanno ottenuto una gravidanza a seguito di fecondazione assistita.

Persone sulle quali grava il peso dei costi per mantenere l’affitto dei “posti letto” riservati a quel surplus di embrioni avanzati dalle procedure o individui emotivamente bloccati nel dare avvio a procedure distruttive o adottive a “quell’ammasso di cellule” che non vive in casa con loro. Alcuni scelgono di seppellirli nel proprio giardino, altri hanno trovato in questo business un’alternativa per «trasformare i ricordi in oggetti tangibili» – come esplica lo slogan lanciato dall’azienda –, mediante la realizzazione di bijoux del ricordo, totalmente personalizzati e ovviamente “pezzi unici”.

La pagina Facebook Baby Bee Hummingbirds vanta quasi 30.000 like, nonché innumerevoli voci curiose, che si affacciano a questo shopping innovativo chiedendo esplicitamente se il materiale di cui sono composti gli ornamenti sia realmente frutto di embrioni congelati, complimentandosi poi per aver congiunto rispetto, delicatezza, sensibilità con la realtà del marketing, spesso invece austera e cinica. Altri clienti segnalano l’urgenza personale effettiva di fare dei loro sei embrioni congelati dei bracciali o dei ciondoli così da evitare spese inutili per figli inutili; altri ancora chiedono senza remore quale sia il “passaggio dal tubo alla gioielleria degli embrioni”. L’azienda risponde empatica e affermativamente alle domande, chiedendo (in modo particolare per la collezione “Embryo Ashes“) amore e rispetto per coloro che intendono accedere allo smantellamento-fabbricazione di questi bio-ricordi. L’inconfutabile diatriba interiore, dettata dall’idea di avere embrioni congelati senza alcuno scopo da potergli offrire e l’impasse psicologico nel determinarne una fine diretta, sembra – leggendo i commenti degli acquirenti- essere arginato: da catalogo i costi per la cremazione si aggirano tra gli 80 e i 600 dollari, poi i cosiddetti «esperti nella conservazione del Dna» trasformano la sua polverizzazione in una particolare resina cristallizzata. Una delle madri commenta con queste parole la simbologia intima di quell’artefatto così paradossalmente vivo:

«My embryos were my babies – frozen in time. When we completed our family, it wasn’t in my heart to destroy them. Now they are forever with me in a beautiful keepsake».

Embrioni e altri “scarti”. Mea culpa

Non è il fatto, è la cultura che sottostà al fatto. Siamo assuefatti dalla mentalità del normalizzante: qualsiasi stranezza venduta per un bene camuffato, impreciso e deturpato, viene somministrata a piccole dosi senza bugiardino e senza da parte nostra il sentore che quel bugiardino, quell’informazione, sia quantomeno necessaria prima dell’accettazione (step costitutivamente secondario). La metodologia, che per inerzia ci spinge tra le braccia degli standard, del progresso e del cambiamento piacevole/godibile, come presupposti di un’antropologia dinamica, è quella dell’alienazione e prima di tutto di noi stessi con noi stessi, disabilitati socialmente a conferire spessore a quell’Io del quale possiamo orgogliosamente vantare una consapevolezza, un “qualcosa” da dire o poter dire. Elevandoci oltre noi stessi declassiamo a livelli via via inferiori. Tolto il bugiardino, zoppichiamo tra un dire sulla libertà e uno sulla bestialità, che sembrano convivere quando, a onor del vero, dovrebbero cozzare fra loro. Dal momento in cui l’essere umano ha smesso di chiamare figlio o bambino il frutto dell’unione fertile fra una donna e un uomo, si è innescato il deterioramento dell’umanità e l’occultamento del bene. Da quando abbiamo riorganizzato la verità per giustificare il piacere ad ogni costo e con ogni mezzo, ci siamo dimenticati chi siamo e di conseguenza abbiamo smesso di indagare sull’esistenza dei nostri simili, se non negli aspetti che possono risultare utili o vantaggiosi. Le pareti della dignità sono state imbrattate; il mistero dell’uomo è ciò che può diventare, non già ciò che è.

Dov’è il disumano? È il riduzionismo di una vita umana a somma di parti disposte secondo un determinato ordine e presenti per un funzionamento preciso. E’ la sola carne, il nostro problema. L’immanenza ha dilatato una ricerca orizzontale e ha tolto la dimensione verticale della nostra vita, scuoiandola in assoluti biologici o genetici per facilitarne la manipolazione e svincolandola dalla cura per ingabbiarla nel possesso. Noi abbiamo tutto cercando di non essere più nulla, per questo materializziamo (e ad alcuni pare risolutivo) il rimorso, il senso di colpa, la nostalgia, la paura, il ricordo, l’amore, l’orgoglio o il pentimento, la memoria e la speranza: un macinato di corpo e spirito rigurgitato addosso al mondano tecnologico.

L’asta dei beni finiti è chiusa, quali “perché” ci restano? 

Giulia Bovassi


AGISCI ANCHE TU! FIRMA LE NOSTRE PETIZIONI

NO all’eutanasia! NO alle DAT!

#chiudeteUNAR

Questo articolo e tutte le attività di Pro Vita & Famiglia Onlus sono possibili solo grazie all'aiuto di chi ha a cuore la Vita, la Famiglia e la sana Educazione dei giovani. Per favore sostieni la nostra missione: fai ora una donazione a Pro Vita & Famiglia Onlus tramite Carta o Paypal oppure con bonifico bancario o bollettino postale. Aiutaci anche con il tuo 5 per mille: nella dichiarazione dei redditi firma e scrivi il codice fiscale 94040860226.