13/12/2017

Eutanasia, l’alternativa c’è: cure palliative e tanto amore

Laddove l’eutanasia è stata legalizzata,

i “paletti” posti dalle norme sono stati rapidamente divelti.

In articolo del Journal of Medical Ethics, del professor Rafael Cohen-Almagor, dice che i belgi dovrebbero essere molto preoccupati visto che ormai vengono terminati anche pazienti che non hanno mai fatto un’esplicita richiesta di morire.

Dall’Europa al Canada, dall’Oregon alla California, pian piano l’opinione pubbli- ca sta cedendo a una mentalità favorevole all’eutanasia. In Francia la legge Leonetti prevede che le persone in stato di minima coscienza possano essere private di cibo e acqua fino alla morte. La sorte che è toccata a Terri Schiavo e a Eluana Englaro ora tocca a Vincent Lambert, con la benedizione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (che evidentemente non annovera tra tali diritti quello alla vita).

La propaganda ha funzionato bene, creando molta confusione: la gente crede che la legge Leonetti sia contro l’accanimento terapeutico (il dar da mangiare e bere!) e che consenta la “sedazione“ dei malati per accompagnarli alla morte (del resto qui ancora c’è chi crede che Eluana fosse “attaccata alle macchine” e che abbiano, alla fine, “staccato la spina”).

Sono bravissimi, i media mortiferi, a confondere l’eutanasia con le cure palliative.
Queste, sì, servono ad accompagnare un malato fino alla fine evitandogli di soffrire. In questo campo va incentivata la ricerca e l’organizzazione degli hospice, dove si fa la terapia del dolore, e dove si aiutano i parenti e gli amici del moribondo ad affrontare la situazione. E certamente per costoro, poi, sarà molto più facile elaborare il lutto.

Tutto questo, però, ha un costo: è decisamente molto più comoda, facile, pratica ed economica l’eutanasia.

E allora si parla, in pura antilingua, di un “gesto d’amore”: del malato che non vuol essere di peso ai suoi cari; dei cari che non vogliono veder soffrire il malato.

Nell’era digitale, ci sono su internet testimonianze di coraggio, di speranza e voglia di vivere, come quella di Maggie Karner, dell’ottobre scorso, o di Stephanie Packer dello scorso giugno: nonostante le gravi malattie e le sofferenze, queste persone dimostrano che c’è più dignità nel vivere e soffrire che nel cedere e farsi uccidere. Questi video, però, non impazzano sul web. Ma se capita che un povero malato dica: «Non ce la faccio più» vicino a qualcuno con una telecamera, il video allora diventa virale e tutta la Rete si commuove e pensa: «Che crudeltà continuare a far soffrire così questo poveretto!».

Se, poi, il malato ci ripensa e testimonia – nonostante tutto – la voglia di lottare con dignità fino alla fine, del suo ripensamento non saprà niente nessuno.
Ci aveva ripensato Brittany Maynard, lo scorso anno, che poi però alla fine si è “fatta suicidare” (a noi, è venuto qualche dubbio che fosse davvero convinta...).
Valentina Maureira, di soli 14 anni, è divenuta famosa, lo scorso febbraio, per un video in cui chiedeva un’iniezione che “l’addormentasse per sempre”: un video che ha fatto il giro del mondo e che avrebbe commosso persino i sassi. Ma quando, dopo poco tempo, Valentina ha cambiato idea, la sua dichiarazione di amore per la vita e la sua decisione di impegnarsi per migliorare le strutture ospedaliere e le condizioni dei malati come lei, non ha avuto alcuna pubblicità. Anzi: quando la poverina è morta, i giornaloni l’hanno ricordata solo perché aveva chiesto di poter farla finita.

E invece cosa le aveva fatto cambiare idea? Il supporto degli psicologi e soprattutto l’affetto dei suoi e di tutte le persone che da tutto il mondo le hanno scritto su Facebook. Allora, ecco l’alternativa all’eutanasia: le cure palliative, le terapie del dolore e il calore umano degli affetti, la vicinanza, la condivisione, la solidarietà. Ne siamo ancora capaci?

Francesca Romana Poleggi

Fonte: Articolo apparso su Notizie ProVita di Luglio 2015, p. 23


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