29/01/2016

Family day – Un’occasione storica per restaurare l’ordine

Ormai ci siamo. Il momento tanto atteso del Family day è arrivato.

Quella del Circo Massimo si preannuncia come la più grande manifestazione italiana di tutti i tempi a difesa della famiglia naturale. E ciò che la rende eccezionale non è tanto il numero di partecipanti, quanto il fatto che sia nata “dal basso”.

Ebbene, nonostante la becera e invadente propaganda a favore dei matrimoni  e delle adozioni gay, nonostante la manipolazione della realtà, le calunnie e gli insulti, il popolo pro-family non si arrende e scende in piazza. Senza sponsor, senza finanziamenti, senza violenza. Ma con la sola forza delle proprie idee. Con la certezza di scrivere la storia, di rendere testimonianza alla verità e di difendere quanto di più sacro c’è per l’uomo: la vita, l’amore dei genitori verso i figli e dei figli verso i genitori. In pratica, il buon senso e la ragione.

Perché il Family day? Non vi sono dubbi.

1. Per dire un chiaro e secco NO, senza se e senza ma, alle unioni civili, ad ogni tipo di unione civile, soft o hard, etero od omosessuale. Noi non avversiamo il ddl Cirinnà solo perché prevede la stepchild adoption o perché equipara le unioni gay al matrimonio. Il problema, infatti, sono le unioni civili in quanto tali. Perché inventare un nuovo ed apposito istituto giuridico? A che scopo? È una questione di diritti da riconoscere e tutelare? Ma sappiamo bene che i conviventi, di qualsiasi orientamento sessuale, già godono di tutti i diritti individuali. Anche i conviventi omosessuali. E se anche qualcosa ci fosse da perfezionare, non serve certo una legge specifica. Ogni tentativo di legiferare e di introdurre le unioni civili aprirebbe una falla nella diga, con la conseguente discesa lungo il piano inclinato. Negli altri Paesi è accaduto così. Sempre. La convivenza in sé, poi, non può essere tutelata perché manca una sua funzione sociale. Lo Stato non dovrebbe mettere bocca sulle relazioni affettive. Il matrimonio non serve a “benedire” il diritto di amare, ma serve a garantire stabilità. Oltretutto, se si riconoscono le unioni gay, perché non fare lo stesso per quelle tra amici, tra nonni e nipoti, tra cugini, oppure tra un uomo e tre donne e così via?

2. Scendiamo in piazza per ribadire che la famiglia è una e una soltanto: quella fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, quella che oggi siamo costretti a definire “naturale”, aggettivo che fino a non molto tempo fa sarebbe risultato pleonastico. Ora, se la famiglia è una e una soltanto, ne consegue che tutte le altre forme di convivenza non lo sono e non lo saranno mai. In nessun caso. Per questa ragione siamo contrari ad ogni forma di legalizzazione giuridica delle coppie di fatto, siano esse etero od omosessuali. Un uomo e una donna conviventi scelgono volontariamente e consapevolmente di privarsi di un riconoscimento pubblico: non si assumono i doveri dei coniugi, e di conseguenza non possono pretendere gli stessi diritti. Sarebbe un’ingiustizia. Nel caso in cui cambiassero idea possono sempre convolare a nozze. Due omosessuali, invece, possono vivere come meglio credono, usufruendo di quanto il diritto privato già permette (ed è molto), ma non possono pretendere altro. Non si può avere tutto nella vita. E infatti nessuno ha tutto.

Istituendo le unioni gay, lo Stato promuoverebbe l’omosessualità, ovvero un comportamento non buono. Non buono perché contrario al diritto naturale. Ovviamente, ciò non significa perseguitare gli omosessuali, ma semplicemente non incentivarne la condotta, facendo il loro stesso bene. CircoMassimo_family day

3. Saremo al Circo Massimo per dire NO alla stepchild adoption, che è solo l’anticamera dell’adozione gay tout court. A chi dice che vanno sanate situazioni già esistenti, rispondiamo innanzi tutto che tali situazioni riguardano molto meno di 529 bambini italiani. Infatti, sono 529 i bambini che vivono con coppie gay, secondo l’ISTAT. Ma la stragrande maggioranza di questi sono figli di una precedente relazione eterosessuale del genitore attualmente gay. Quindi hanno un padre e una madre, come tanti figli di separati, per i quali non si pone alcun problema di adozione.

La legge attuale sulle adozioni già prevede che se un bimbo resta orfano può essere affidato/adottato al convivente del genitore con cui viveva, nel suo maggior interesse.

Quindi la stepchild adoption serve solo a consentire l’adozione dei figli del partner (una piccola percentuale di quei 529) che sono stati comprati all’estero con utero in affitto, o sono frutto di un’inseminazione artificiale di venditore di sperma ignoto.

Chi compra bambini e violenta la natura, non può pretendere il diritto di adottare le vittime delle proprie ignobili azioni.

In definitiva, la stepchild adoption legittimerebbe e incentiverebbe scelte dettate dall’egoismo, quello di chi, per soddisfare un desiderio di maternità o paternità, non si fa scrupoli nel privare un bambino del papà o della mamma.

4. Al Family day ci batteremo per difendere i più piccoli e indifesi: i bambini. Per gridare che i figli hanno bisogno di una figura maschile e di una femminile, di un padre e di una madre. E non venissero a dirci che esistono tanti orfani di entrambi o di uno dei due genitori, perché un conto è sapere che la mamma o il papà sono morti, altro è non sapere nemmeno di chi si è figli. E un conto è essere nati da uno stupro (fatto certo non voluto dalla donna che l’ha subito), altro è togliere consapevolmente e volontariamente il padre e la madre ad un bambino.

5. Infine, saremo a Roma per condannare la turpe pratica dell’utero in affitto, che verrebbe legittimata dal ddl Cirinnà. Non accetteremo mai la barbara compravendita di gameti. Non accetteremo mai l’idea che un figlio si possa comprare e che venga strappato a forza dalla “mamma” che l’ha custodito per nove mesi. E non accetteremo mai che una donna, dietro compenso, possa venir trattata come un’incubatrice umana.

Ecco dunque, perché dobbiamo partecipare al Family day. E che si sappia: quello di sabato 30 gennaio, sarà solo l’inizio. Dal Circo Massimo partirà la riscossa d’Italia.

 Federico Catani

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