07/07/2014

Foto coppia gay con il neonato: in pochi si sono commossi

In calce potete leggere un paio di commenti interessanti sulla foto dei due gay che abbracciano piangenti il figlio partorito da una donna affittata per nove mesi. Si dice che la foto ha commosso il mondo: ne siamo sicuri? Pare proprio di no.  Pare che più di qualcuno, anche a sinistra, nel PD, non si sia affatto commosso. Non facciamoci annichilire dal tentativo di censura ideologica in atto: “se la foto ha commosso il mondo e a me non mi ha commosso, vuol dire che in me c’è qualcosa che non va!”. Questo è il subdolo tentativo dittatoriale di lavaggio del cervello di massa, propagandato da Repubblica, Corriere & co. Non lasciamoci irretire. Diciamolo forte: quella foto non ci commuove, ma ci impressiona: il neonato cerca la pelle, l’odore e il sapore della mamma, non solo subito dopo la nascita ma per lungo tempo ancora dopo. Questa è la natura, questa è la verità. L’ “amore non basta”. Soprattutto quando è – in realtà – desiderio di possesso, oggettivizzazione dell’altro, puro egoismo.

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“Un bambino appena nato chiede una sola cosa: il seno della sua mamma”. Bastano queste poche parole, scritte su Facebook dalla consigliera comunale bolognese del Pd Raffaella Santi Casali, cattolica e renziana della prima ora, per scatenare sul suo profilo decine di commenti. E per rimarcare una volta di più le anime diverse che convivono tra i Democratici riguardo ai diritti civili, come la possibilità per le famiglie omosessuali di avere dei figli.

Il “like” di Benedetta Renzi.
E c’è un like di peso allo status della consigliera Pd, quello di Benedetta Renzi, sorella del presidente del Consiglio, fresca di nomina ad assessore alla Scuola a Castenaso, nel bolognese. Un Comune conquistato per la seconda volta da un altro renziano di ferro, Stefano Sermenghi (col 76,55% dei voti). Il suo “mi piace” spicca più di altri, ovviamente, fra i tanti che hanno apprezzato e commentato le parole dell’esponente del Partito Democratico. Che, seppur indirettamente, parla delle famiglie gay. Ed espressamente, nei commenti, definisce l’utero in affitto “un furto con scasso ai danni delle donne”.

“Siamo mammiferi: babbo, mamma, figlio”. Durante la giornata di ieri il tenore dei commenti (più o meno cauti) alla frase della Santi Casali si è spaccato in due. Tra chi le dà ragione (“L’amore si esprime con la tetta, il neonato cerca quella” o il rischio di “sovvertire dati elementari di natura” con le parole) e chi fa notare che la “gestazione per altri” (o utero in affitto, come è più conosciuto in Italia), è una pratica a cui nel mondo si affidano nella grande maggioranza dei casi le coppie eterosessuali. Ad ogni modo la Santi Casali tira dritto: questi metodi sono «un orrore», «un furto con scasso ai danni delle donne». E poi siamo mammiferi: «Babbo, mamma, figlio».

“Il mondo dei cattolici integralisti”. Franco Grillini, consigliere regionale e presidente onorario di Arcigay, ci scherza su: «Questi cattolici integralisti pensano solo al loro mondo fatato dove la realtà non esiste. O il mondo è come lo vogliono loro, o è sbagliato».

Rosario Di Raimondo

Fonte: Repubblica

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“Canada, le lacrime dei neopapà gay: lo scatto emoziona il mondo”. Lo dice – che fai, non ti emozioni? – il sito di Repubblica, a commento della foto dove si vedono i primi attimi di vita del piccolo Milo. Nato in Canada il 27 giugno da utero in affitto, lo vediamo ancora bagnato di liquido amniotico, stretto al petto nudo dal “genitore 1”, mentre il “genitore 2”, anche lui a torso nudo, spunta dietro la spalla del partner, pronto a sua volta a sperimentare il contatto “pelle contro pelle” con il neonato. Al quale però sarà negato quel contatto con l’unica che ne avrebbe titolo: la donna che lo ha portato in grembo per nove mesi e l’ha appena partorito. La vediamo nell’angolo dell’immagine, l’espressione sofferente. Siamo in Canada, primissimo mondo e pioniere dei diritti arcobaleno. Quella donna sarà pagata, ringraziata e allontanata subito dal neonato. E’ necessario, per evitare incresciose confusioni e riflessi condizionati di attaccamento tra madre e figlio. Emozioni – si potrà dire? – che hanno a che fare con la vita per quello che è, e con la maternità per quello che è ancora. Emozioni  inopportune e poco gay friendly, nel contesto di questa impressionante Natività post moderna.

Eppure, quelle emozioni che dovrebbero essere scongiurate affiorano, nonostante tutto, nel volto della donna disfatta, pronta a uscire per sempre, non solo metaforicamente, dall’inquadratura. Ne risulta turbata, se non proprio guastata, la posa scelta dalla fotografa Lindsay Foster per invitarci a considerare il gran potere dell’amore: l’amore di due uomini commossi e piangenti di gioia con il “loro” figlio neonato, toraci villosi invece di ventre materno. Già nella foto seguente, la donna non c’è più. Non a caso i due “neopapà”, sul profilo Facebook della fotografa, puntualizzano che non c’è alcun legame genetico tra il bambino e colei che lo ha partorito, perché l’ovocita fecondato con il seme di uno dei due uomini appartiene a una donatrice anonima (si usa così: due madri significa nessuna madre, una per l’ovocita e l’altra per la pancia e non si corrono rischi di rivendicazioni tardive). Si potrebbe obiettare che men che mai un legame genetico esiste con quello dei due uomini che non ha partecipato all’inseminazione. Solo uno è il padre, tra quei due uomini che mimano la madre nell’abbraccio “pelle contro pelle”. Un abbraccio che ha senso ed è fondamentale perché il corpo che ha contenuto il bambino – dialogando con lui per nove mesi, come ormai sanno anche i sassi – è lo stesso che per primo lo accoglie alla luce del mondo: è il corpo materno, il solo a non essere estraneo al bambino, e la pelle della madre è l’unica pelle di cui il bambino ha bisogno di sentire il calore, almeno in quei primi attimi. Ma sono obiezioni da trogloditi, nello statuto dei nuovi diritti arcobaleno, non è vero?

 

E allora coraggio, emozioniamoci tutti, come suggerisce Rep., seguìta a ruota dal Corriere della Sera. Incolliamo anche la foto del piccolo Milo bagnato di placenta, senza mamma e con due papà, nell’album della vittoriosa marcia dei nuovi diritti, dell’ininterrotto gay pride sostenuto da sistemi di marketing spesso geniali. Ci sono i testimonial famosi, e soprattutto tanta appiccicosa melassa sull’amore che vince. Vince anche sulle illiberali leggi di natura che pretendono ci siano una femmina e un maschio all’origine di ogni essere umano.

Quanto il marketing Lgbt sia stato decisivo nel contagiare i mezzi di comunicazione e nel trasformarsi in mainstrem, lo ha raccontato in “Forcing the spring” il giornalista americano Jo Becker. Al gran lavoro di lobby avviato da una piccola agenzia del no profit, la American Foundation for Equal Rights fondata nel 2008 da Chad Griffin, Becker attribuisce il merito di aver portato il presidente americano Obama a condividere, dall’inziale ostilità, la causa del same-sex marriage. Eppure è un omosessuale attivista dei Tea Party, Doug Mainwaring, a dire che “non c’è bisogno di usare argomentazioni religiose” contro le nozze gay e contro pratiche come quella da cui è nato Milo, perché “basta la legge naturale”. Ma questo, aggiunge Mainwaring, non è più sostenibile sui grandi mezzi di comunicazione di massa, appiattiti sulla neo normatività Lgbt e sulle foto di neopapà gay che “emozionano il mondo”. Se ne può parlare e discutere solo nel confronto diretto con le persone. Altrimenti si finisce alla gogna come l’ad di Mozilla, Brendan Eich, licenziato per aver sostenuto la campagna contro il matrimonio gay, e nonostante lo avesse difeso il famoso giornalista Andrew Sullivan, icona del movimento gay americano.

Nicoletta Tiliacos

Fonte: Il Foglio

 

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