24/11/2015

Gender: dopo Money, il post-genere

“Il gender non esiste”. È il mantra, ormai ossessivo, che il giornalismo mainstream non cessa di ripetere. È una “bufala omofoba”, strillano le formulazioni più rozze.

La strategia è chiara: far passare per folli visionari gli avversari dell’ideologia gender. Chi conosce la storia sa bene che dipingere i propri oppositori come pazzi da rinchiudere (e se possibile rieducare) è un vezzo tipico di tutti i totalitarismi.

E’ però difficile convincere dell’inesistenza dell’ideologia gender, se essa viene messa platealmente nero su bianco come ha fatto “La Repubblica” lo scorso 6 novembre, in un’intervista adorante alla spagnola Beatriz “Paul” Preciado, filosofa queer e attivista “transfemminista”.

L’intervista, intitolata Da donna a tecno-uomo, sono il genere sintetico, prende le mosse dalla comparsa nelle librerie italiane del suo libro Testo tossico. Il libro racconta della «decisione (indecidibile) di cambiare il mio nome in Paul», racconta Preciado all’intervistatrice Elena Stancanelli. Già questo suona strano, dato che gli ideologi che sono soliti pontificare su “La Repubblica” ripetono sempre, con intonazione canzonatoria, che l’identità e l’orientamento sessuale non si scelgono.

Preciado, si accennava, teorizza il cosiddetto “queer” o “postgenere”. Non si tratta di altro che di uno sviluppo delle prime teorie del genere, come quella elaborata da John Money (1921-2006), psicologo e sessuologo neozelandese che ha introdotto il termine gender nella letteratura medica.

Per Money alcuni bambini sarebbero “intersessuati”, cioè nati con corpi non esattamente ascrivibili a una delle due categorie maschio-femmina. La soluzione per Money stava nel sottoporli ad una serie di processi (chirurgici e ormonali) per mascolinizzarli o femminilizzarli (non senza esiti infausti come nel famoso caso di Bruce Reimer che, affidato alle “sapienti” cure del dottor Money, finirà per suicidarsi).

Beatriz Preciado si ribella a una pratica così invasiva, attiva ancora oggi nei sistemi sanitari di gran parte delle democrazie occidentali, e che invece, dice, andrebbe giudicata «brutale e drammatica come lo è la mutilazione clitoridea». Intendiamoci: è una critica, quella dell’attivista queer, che contiene anche elementi veritieri. Peccato solo che così facendo segni un progressivo aggravamento di quella patologia intellettuale e spirituale che è l’ideologia di genere. La filosofa accetta infatti il postulato principale della “patristica” gender: la radicale separazione tra psiche e soma, portandola a conseguenze ancora più estreme.

John Money ha messo nero su bianco questo principio nel libro Love and Love Sickness (tradotto da Feltrinelli col titolo di Amore e mal d’amore). Per lo psicologo, che introduce il termine gender nella letteratura medica, l’identità di genere può discostarsi dall’identità genetica (o cromosomica) così come dal sesso gonadico e da quello somatico. Il sesso psico-sociale, cioè il gender, è determinato dalla cultura e dall’ambiente. E lo stesso vale per l’orientamento sessuale (l’attrazione sessuale per un oggetto). I bambini, secondo Money, apprendono il genere di appartenenza come apprendono la lingua madre. E all’interno di questo processo di apprendimento, scrive testualmente Money, «il sesso cromosomico è irrilevante».

Beatriz Preciado accoglie in pieno la parte fondamentale del pensiero di Money: l’irrilevanza della biologia. «La nozione di sesso binaria – afferma nell’intervista a “La Repubblica” – non è una realtà anatomica o cromosomica. Si tratta di un’invenzione politica che serve a mantenere le strutture sociali della famiglia e del modello eterosessuale». Money ha il solo difetto di essere ancora troppo legato a una organizzazione binaria della sessualità. Se il sesso biologico è irrilevante, perché mai dovrebbero esserci solo due generi? Per il postgenderismo il genere è autocreazione, è infinita autodeterminazione.

L’assoluta indistinzione, la fine stessa della nozione di identità è l’approdo della teoria queer. Il termine queer allude precisamente a questo stato di indistinzione permanente. Il termine, che in lingua inglese tradizionalmente significa “eccentrico”, “bizzarro”, “insolito”, deriva a sua volta dal tedesco “quer” che vuol dire “di traverso”, “obliquo” (e in questo senso è opposto a “straight“, cioè “diritto”, “normale”, “ordinario”, diventato anche sinonimo di “eterosessuale”).

Non è affatto vero dunque che “la teoria gender non esiste”. La calorosa ospitalità riservata da “La Repubblica” al pensiero queer dimostra che esiste realmente una corrente di pensiero che può essere definita «ideologia gender». All’interno di questa corrente, come accade per tutti i movimenti del pensiero, nascono varianti che sviluppano i temi essenziali del gender. E questo è il caso della variante di Beatriz “Paul” Preciado, che risente tra le altre cose dell’influsso delle filosofie della “morte del soggetto” (Michel Foucault) e del radicalismo marx-femminista (Silvia Federici).

Andreas Hofer

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