27/11/2015

Gender – Gli scherzetti dei negazionisti

I negazionisti del fenomeno gender mostrano ormai sempre lo stesso schema: 1) il gender è un’invenzione dei cattolici ultra-tradizionalisti, 2) esistono solo i gender studies e 3) parlare di educazione di genere non è “gender”, in quanto genere e sesso sono sinonimi.

Che il gender sia un’invenzione dei cattolici, in particolare “ultratradizionalisti” (ossia dei vari Brandi, Amato, Gandolfini, Pillon, Adinolfi, ecc…), è facilmente smontabile in quanto, oltre a queste persone che sono indubbiamente dei protagonisti nella lotta contro l’ideologia gender, i negazionisti dimenticano Kinsey e il dottor Money ... E dimeticano (che caso!) di citare, ad esempio, Papa Francesco (dipinto dalla stampa internazionale come progressista, ma che ha affondato in più occasioni il dito nella piaga del gender), o il filosofo Diego Fusaro (ateo, scuola Gramsci), oppure Michel Onfray (ateo, convintamente anticattolico e attivista LGBT), giusto per citare i più noti.

I negazionisti si arrampicano sugli specchi affermando che esistono solo i gender studies, e basta. A parte che dire ‘teoria’ è sbagliato perché questi postulati non hanno fondamento scientifico, quindi si tratta piuttosto di una ideologia, i negazionisti dimenticano (e due) che “nella lingua – spiega il Dizionario Treccani – il termine teoria diventa anche sinonimo di ipotesi, indica cioè una possibilità astratta, ovvero si riferisce a un modo soggettivo di pensare, a un’opinione”. Come se non bastasse la contraddittorietà di questa posizione emerge quando, sostenendo che la teoria gender non esiste ma esistono soltanto gli studi di genere, si prende ad elencare cosa affermino questi studi, senza avere l’onestà di dire che da qualche parte dovranno pur essere partiti.

Repetita iuvant, “bignami” per i più distratti. Come noto il tutto nasce negli anni Cinquanta con l’entomologo Kinsey e, con il suo allievo, il sessuologo Money. Quest’ultimo elaborò una teoria secondo cui il sesso biologico di nascita non conta, ma ogni bambino può essere cresciuto indifferentemente come maschio o femmina. I suoi studi vennero ampiamente smentiti dal tragico caso di Bruce Reimer, bambino da lui fatto crescere come una bambina, che morì suicida.

Nel 1960 circa questi primi studi si innestarono sul secondo femminismo radicale, che già individuava come un limite le differenze biologiche tra uomo e donna. Ad esempio Judith Butler teorizzò il sesso fluido o queer: l’unico modo che l’uomo ha per essere davvero libero di autodeterminarsi sarebbe quello di riservarsi una continua e autonoma ridefinizione della propria identità sessuale.

Altra tappa fondamentale è quella dei Gay and Lesbian Studies che hanno portato ai 58 – o anche più (siamo arrivati almeno a 71) – generi diversi tra i quali si può scegliere all’atto dell’iscrizione sul Facebook o ai 23 generi ufficialmente riconosciuti dallo stato Australiano.

A questo punto l’evoluzione da teoria a ideologia appare evidente: si parte, appunto, da una teoria (cioè il formulare un’ipotesi), si passa successivamente a degli studi che ne dovrebbero dimostrare le veridicità e, anche se questi non portano risultati, si mettono in pratica ugualmente le ipotesi teoriche di partenza. Infatti, la parola ideologia – tornando al Dizionario Treccani – “[...] può anche essere definita come un complesso di idee astratte, senza riscontro nella realtà e prive di basi scientifiche”. I più attenti avranno notato recentemente un fiorire di articoli e pubblicazioni di persone vicine alla galassia LGBT (Marzano, Lalli, Videtta, Lolli, ecc…) che non ne negano più l’esistenza, ma al massimo ne minimizzano gli effetti usando il paravento della lotta alla discriminazione, oppure alludendo che le parole “genere” e “sesso” siano sinonimi.

Su questa non-distinzione, si concentra la terza e ultima inutile fatica dei negazionisti.

gender_bandiera-arcobaleno-5La parola gender è cominciata ad apparire all’inizio degli anni Novanta nel linguaggio degli organismi internazionali, l’Onu anzitutto. Prima di allora in questo ambito non si utilizzava, ad esempio non esiste nei trattati internazionali sui diritti dell’uomo. È dalla Conferenza Internazionale delle donne di Pechino del 1995 che, non solo viene utilizzata, ma diviene centrale. In quell’incontro la parola gender fu intesa dai partecipanti come riferimento alla parità uomo-donna. In realtà, però, il fatto che si sia usato il termine gender e non più quello di “donna”, rivela che ci sia stata una manipolazione non solo semantica. In un primo momento, visto che i negoziati sono notoriamente in inglese, nessuno si rese conto delle implicazioni, ma se rileghiamo tale fatto anche al cambio di linguaggio che ha portato a coniare nuovi termini come “salute riproduttiva” per parlare del diritto all’aborto, o “automizzazione della donna” appare chiaro la strategia in atto. Infatti da allora non si farà più riferimento alla parola sesso per indicare i due sessi universalmente riconosciuti (maschile e femminile) ma alla parola “genere”, che oltre al maschile e femminile comprendeva anche i gay, le lesbiche e i transessuali.

Dieci anni più tardi, nel novembre 2006 un gruppo di organizzazioni internazionali (NGO, International Service for Human Rights, ecc…) si sono riunite in Indonesia a Yogyakarta per stilare una carta dei principi internazionali su orientamento sessuale e identità di genere da porre come guida per gli standard legali a cui gli Stati devono conformarsi nella stesura di leggi, regolamenti e documenti ufficiali. A seguito dell’elaborazione dei Principi di Yogyakarta il Consiglio d’Europa si espresse con la Raccomandazione del Comitato dei Ministri agli Stati membri in materia di diritti umani alla vita e alle esperienze delle persone con diverso orientamento sessuale e identità di genere. Tutto ciò comprendeva, oltre che ad una tutela rafforzata o privilegiata degli omosessuali, anche alla previsione del reato di omofobia e all’introduzione dell’insegnamento delle teorie del genere e dell’orientamento sessuale nei programmi scolastici. In Italia tutto ciò è stato recepito dal governo Monti, da parte del Ministero delle Pari Opportunità, il quale ha elaborato e approvato, il 29 aprile del 2013, la Strategia Nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere 2013-2015, oggi in piena attuazione e al quale la riforma della “Buona Scuola” si rifà nell’articolo 1 comma 16.

Cosa faceva dire Arthur Conan Doyle a Sherlock Holmes quando metteva in fila tre indizi lo lasciamo alla curiosità personale di ognuno: quello che appare evidente è che è inutile puntualizzare sul nome – possiamo chiamarla teoria gender, ideologia gender o gender studies – ma la sostanza non cambia.

Francesco Giacopuzzi

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