01/06/2015

Il diritto naturale : non se ne può fare a meno ...

L’idea di un diritto naturale che costituisca il fondamento del diritto positivo è un’idea elaborata in vario modo dai pensatori greci, ripresa dai filosofi cristiani e infine riproposta dal giusnaturalismo dell’età moderna (Grozio e altri).

Solo con l’avvento del positivismo nella seconda metà dell’Ottocento questa idea è stata marginalizzata, ma essa è comunque viva e presente nella cultura contemporanea.

Liberarsi con un gesto sprezzante di questa idea, magari affermando, come è stato fatto da qualche esponente Lgbt, che si tratta di “una contraddizione in termini” (!) è solo frutto di una colossale ignoranza della storia. Le discussioni sul diritto naturale risalgono al V secolo a.C., all’epoca della Sofistica e attraversano il pensiero filosofico e giuridico occidentale fino ai nostri giorni.

Che cosa si intende per diritto naturale? Le definizioni sono molteplici, ma c’è una costante che non è difficile mettere in evidenza: di fronte alla variabilità delle leggi positive e soprattutto di fronte al carattere ingiusto di molte di esse, è necessario individuare un nucleo di norme permanenti, giuste in sé, razionali in se stesse, oggettive, cioè non dipendenti dall’arbitrio e dalle scelte soggettive dei vari legislatori, motivate spesso dall’interesse di singoli, di ceti, di gruppi detentori del potere.

Per esempio: in base alla legge esistono schiavi e liberi, ma per natura tutti gli uomini sono uguali. Così leggiamo in un frammento di un filosofo greco del V secolo.

Il diritto naturale è pertanto un diritto non scritto, che l’uomo scopre con la ragione e che deve costituire la norma fondamentale del diritto positivo, delle leggi positive. Solo richiamandosi al diritto naturale è possibile criticare le leggi positive. In assenza di questo riferimento, ossia se ciò che è giusto (ciò che è legittimo) coincide con ciò che è stabilito dalla legge positiva (ciò che è legale), diventa impossibile opporsi, per es., ad una legislazione razzista, come quella introdotta da Hitler in Germania negli anni trenta del Novecento.

In assenza di un riferimento ad una legge naturale non scritta, come sarebbe possibile giustificare l’operato dei vari tribunali internazionali che perseguono “crimini contro l’umanità” non sanzionati da leggi positive dei paesi a cui appartengono i criminali perseguiti? E come sarebbe possibile considerare questi crimini imprescrittibili? Il principio generale “nulla poena sine lege” – non si può parlare di crimine e di pena in assenza di una legge che tale crimine definisca – non viene violato proprio perché si assume che esista un diritto o una legge naturale, al di là delle varie leggi positive.

L’espressione diritto (o legge) naturale può tuttavia prestarsi oggi a qualche equivoco che è bene dissipare. Il termine natura, nel pensiero greco e medievale, designa tutti gli enti, l’insieme ordinato degli enti (il cosmo). Ogni ente fa parte della natura ed ha, questo è fondamentale, una sua natura, una sua essenza, che ne costituisce il fine e che lo differenzia dagli altri enti. Così l’ente che chiamiamo uomo ha una sua essenza che lo differenzia dagli altri enti e che consiste nella razionalità: l’uomo è un animale che ha la ragione, il logos, come diceva Aristotele. In questo consiste la differenza specifica dell’uomo dagli animali con cui ha ovviamente in comune molte caratteristiche. Realizzare liberamente questa essenza (la razionalità) costituisce il fine dell’uomo, il suo compito specifico.

All’interno di questa visione si comprende come diritto naturale equivalga a diritto razionale: si tratta di scoprire ciò che è conforme alla ragione, e quindi ciò che costituisce il fine della vita umana. Le leggi positive devono favorire il conseguimento di questo fine e qualsiasi legislazione positiva deve avere come orientamento e norma fondamentale ciò che è giusto in sé, la realizzazione della vita buona, il diritto naturale appunto.

BludentalNel corso del pensiero moderno il termine natura subisce però una profonda mutazione di significato: non designa più la totalità degli enti, ma un settore della realtà, la materia inanimata e animata, la “res extensa” di Cartesio, contrapposta al pensiero (la “res cogitans”) ossia all’uomo. In questo contesto diventa allora equivoco, anzi del tutto errato, parlare di un diritto naturale: se naturale sta a significare ciò che avviene nella natura inorganica e biologica, allora certamente naturale è l’incesto, naturale è cibarsi dei propri figli, naturale è uccidere il partner dopo l’accoppiamento, e così via, come avviene appunto in natura. E da questa “legge naturale” l’uomo deve uscire al più presto!

Ma è evidente che si tratta di intendersi sul significato del termine natura e cercare di usarlo in modo corretto. Il fondatore del giusnaturalismo moderno, Ugo Grozio, definiva la legge naturale come “il dettame della giusta ragione”. Ricordiamoci di questo nella polemica contro i negatori del diritto naturale. E forse, ma solo a scanso di equivoci, sarebbe meglio parlare sempre di essenza e fine dell’uomo, piuttosto che di “natura”.

E ciò avrebbe anche questo vantaggio: è ben difficile negare che l’uomo abbia una essenza o un fine; infatti anche chi nega che l’uomo abbia un’essenza, non può fare a meno di assumerla implicitamente; se dico infatti: “l’uomo non deve realizzare alcun fine, ma può fare quello che vuole in base ai suoi desideri, di qualunque tipo essi siano”, assumo implicitamente che l’essenza dell’uomo è il desiderio, che l’uomo è un essere, per essenza, desiderante e così via.

Giovanni Stelli

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