19/04/2013

Il femminismo travolto dal sesso e dal lavoro

Il femminismo è stato, e in parte è ancora, un movimento complesso e contraddittorio che si è speso per la difesa di certi diritti delle donne. Se volgiamo lo sguardo ai “favolosi” anni 60-70 sembra che le femministe però avessero solo un chiodo fisso: la sessualità come leva per ogni parità.

Nel 1976 sulla rivista “Effe”, vero cult del mondo femminista, si poteva leggere che l’aspirazione era una sessualità “libera, attiva, (…) che dichiari le proprie eventuali “devianze”, che si confessi senza paure”. Come scriveva il Partito Radicale nel 1967 la “colpa” di questa mancata liberazione della sessualità era tutta della “società che spinge il suo autoritarismo fino a sindacare sul diritto dell’individuo a disporre liberamente del proprio corpo, a godere del piacere dei sensi.”

Da questo punto di vista si può affermare che i risultati sono stati raggiunti. Cosa resta, però, della dignità del corpo femminile dopo la liberazione sessuale auspicata 35 anni fa dalla rivista “Effe”? Le neo femministe che si scandalizzano di veline e bunga-bunga dovrebbero farsi qualche domanda.

Se spostiamo l’attenzione sulle battaglie per la parità nel lavoro sembra che i risultati siano molto meno convincenti, il divario è diminuito, ma solo per alcuni privilegiati.

Secondo uno studio appena pubblicato dall’Institute for Public Policy Research UK (IPPR), un think tank britannico di tendenza progressista, la parità è avanzata solo tra i professionisti di alto livello, ma non tra i lavoratori meno qualificati.
Secondo Dalia Ben-Galim, direttore associato dell’istituto che ha elaborato lo studio, si può trarre una conclusione chiara: “Il femminismo si è concentrato su donne altamente qualificate, e ha abbandonato le altre donne.” Per le altre, che si impegnano in lavori molto umili e faticosi, sembra essersi accontentato di fargli urlare “l’utero è mio e lo gestisco io!”, limitandosi alle “conquiste” della contraccezione, del divorzio e dell’aborto.

La dott.ssa Ben-Galim indica che le politiche di parità si sono preoccupate solo di rompere le limitazioni per le donne in carriera, e gli sforzi si sono concentrati a promuovere la loro presenza nei consigli di amministrazione delle grandi aziende.

Lo studio britannico mette in rilievo un altro aspetto drammaticamente attuale: il femminismo non è riuscito a promuovere la conciliazione tra famiglia e pari opportunità. Per Ben-Galim l’approccio alle politiche di parità non potrebbe essere più sbagliato: “Il genere ha ancora un forte impatto sulle prospettive salariali delle donne, ma la classe sociale, l’istruzione e l’ambiente di lavoro hanno un peso maggiore nello sviluppo della carriera “.

In particolare si rivela che la maternità è ancora il fattore più importante nel determinare l’evoluzione professionale delle donne. I dati non lasciano dubbi perchè le donne che hanno bambini prima della carriera hanno meno successo. Tra gli uomini succede il contrario, i genitori guadagnano di più rispetto ai loro coetanei senza figli. Osservando questi dati verrebbe da lasciarsi andare ad affermazioni politicamente molto scorrette: le culle si svuotano perchè le mamme lavorano. Dobbiamo dirlo piano però, per non turbare nessun benpensante, anche se poi qualcuno ci dovrà spiegare come faremo con la pensione quando i giovani saranno meno dei vecchi.

Permettetemi una piccola digressione di casa nostra. C’è chi vorrebbe Emma Bonino al Quirinale, una che il femminismo lo ha praticato attivamente, tanto da fare aborti con una pompa da bicicletta. Non entro nel merito delle sue qualità politiche, certamente il suo senso di responsabilità verso i bambini non mi convince molto. Anche quello verso le donne.

di Lorenzo Bertocchi

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