19/04/2019

Il no di Rodotà all’utero in affitto. Per non dimenticare

L’editoriale del 15 aprile, del direttore di Panorama, Maurizio Belpietro, sull’inchiesta che fa luce sul mondo dell’utero in affitto, riporta qualcosa che oggi ci suonerebbe come nuovo e sorprendente, ovvero il pensiero di un uomo di sinistra come Stefano Rodotà, con in tasca addirittura una tessera dei Radicali, sulla barbara pratica di compravendita di bambini che oggi si cerca di sdoganare.

Ebbene sì perché Belpietro fa riferimento a un articolo pubblicato su Panorama un bel po’ di tempo fa, datato, per la precisione, 5 novembre 1989, periodo in cui il Professore non era ancora diventato Garante della privacy, ma era già un’autorità, essendo reduce già da tre legislature come candidato indipendente nelle liste del Pci. Eppure, nonostante la sua appartenenza politica, nell’articolo in questione, riportato alla luce dal Direttore e intitolato Utero affittasi, lo stesso Rodotà che risulta esserne l’autore, non esita a schierarsi in modo netto contro l’utero in affitto.

Il professore prende spunto da due fatti di cronaca, in un periodo in cui l’argomento non era sdoganato come oggi e non c’erano ancora prese di posizioni nette, data l’assoluta novità. Si trattava, in particolare, di due processi che dovevano decidere la sorte di due minori: una bambina commissionata da una coppia, in America, che la madre biologica, dopo aver partorito, si rifiutava di cedere e di una situazione simile verificatasi a Monza dove la gestante aveva deciso di non rispettare più il contratto, non consegnando il figlio al padre che aveva donato il seme. I due casi si risolsero in modo diverso: il primo con la bambina affidata al padre naturale, il secondo, invece, con la vittoria della madre biologica.

Ma la parte più interessante dell’articolo è il giudizio di Rodotà sulle due vicende, il quale considera giusta la decisione presa dal giudice italiano. Per di più, rispondendo alla domanda di chi, a sostegno dell’utero in affitto, si chiedeva perché, se un uomo può donare o vendere il proprio seme per fecondare una donna sterile, questo non deve essere consentito anche a una donna; il Professore, ribatte con sorprendente lucidità sottolineando come la donazione del seme non sia paragonabile alla gravidanza: «Si può ammettere che una donna rinunci al figlio che ha generato? Si può accettare che anche questa materia sia affidata alle pure leggi del mercato, alla logica della domanda e dell’offerta?» l’unica risposta possibile, come scrive Rodotà è no. Anzi proprio per questo, sostiene nell’articolo, è necessaria una legge che vieti ogni forma di commercializzazione del corpo che non può essere trattato come una merce a tutti gli effetti.

Oggi queste parole, scritte da un uomo di sinistra, possono sembrare strane eppure ci sono diversi casi che dimostrano che non è necessario appartenere a uno schieramento politico di un certo tipo o a un’ideologia precisa, per condannare certe pratiche disumane. Pensiamo al filosofo marxista Diego Fusaro che ha definito l’utero in affitto «l’apice della reificazione e del classismo. Il ventre della donna come magazzino aziendale, il nascituro come merce on demand. Un abominio disumano, l’ennesimo capriccio individualistico delle classi dominanti, che lo spacciano per diritto». Ma anche alla femminista Marina Terragni, giornalista, saggista e conduttrice radiotelevisiva, che si batte contro l’utero in affitto considerandolo una «forma sottile di strumentalizzazione della donna, un modo per sfruttarne l’attrezzatura gestatoria, congedandola appena terminata la prestazione».

Insomma, quello della reificazione del corpo umano è un argomento talmente serio e drammatico per il pericolo concretissimo del suo sdoganamento a cui stiamo assistendo nella nostra società, che merita davvero il superamento di ogni divisione di sorta e anche in fretta, perché l’individuo continui a essere libero e non una merce di scambio o uno strumento riproduttivo al pari di una macchina. E di fronte a un pericolo simile non c’è ideologia che tenga.

Manuela Antonacci

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