22/11/2018

Il ritorno del pensiero magico travestito da scienza (II parte)

La clonazione è il più evidente esempio di una scienza divenuta preda della mentalità magica, che si propone cioè di dare e controllare la vita umana. Ma l’uomo, in realtà, non essendo Dio, non sa creare nulla, ha sempre bisogno di qualcosa (in questo caso un ovulo e un nucleo) da cui partire, su cui pronunciare le sue formule o agitare la sua bacchetta. La clonazione, essendo una modalità di riproduzione asessuata, contro natura, che separa artificiosamente sesso e procreazione, che nega la dipendenza, la relazione, costitutiva di ogni esistenza, è appunto già per questo un’operazione tipicamente magica.

Una operazione in cui colui che si fa clonare afferma il suo potere, parola essenziale quando si parla di magia, per riprodurre non tanto un altro, ma, almeno nei suoi fantasiosi desideri, un altro se stesso, geneticamente uguale, per farne un deposito di organi da depredare al bisogno, oppure un tentativo di sopravvivere, nell’aldiqua, anche dopo la morte.

La clonazione è dunque una vera operazione magica perché nasce da un sogno di immortalità terrena e di totale controllo eugenetico sulla vita, e perché, per fare questo, decide della natura dell’uomo non oggettivamente, ma soggettivamente. Infatti se lo scienziato riconoscesse ciò su cui opera, l’embrione umano, appunto come un essere umano, dovrebbe automaticamente porsi dei limiti, fermarsi.

Invece, per sfuggire al limite, oggettivo, si inventa a suo piacimento, in modo arbitrario, la definizione di ciò su cui sta sperimentando. Alla domanda: «Ibridi, chimere, embrioni transgenici: dobbiamo rivedere la nozione di essere umano?», il celebre biologo Edoardo Boncinelli risponde: «Sì, anche a prescindere da questi esperimenti. Possiamo dire che c’è l’uomo all’atto della fecondazione (come veramente, scientificamente accade, ndr), alla fine della seconda settimana, alla prima reazione che l’embrione ha a un disturbo esterno, al primo segnale elettroencefalografico, quando nasce, quando è in grado di ricordare. A noi la scelta» (Newton, luglio 2007). Evidentemente ognuno capisce che “a noi la scelta” non è un modo di ragionare scientifico. Eppure così facendo, se decidiamo noi di volta in volta chi è uomo o meno, se cambiando definizione arbitrariamente, acquisiamo un diritto assoluto su ciò che definiamo, ogni limite oggettivo cade: si deciderà prima di clonare sino al quattordicesimo giorno, poi di proseguire con gli esperimenti, per ora sempre occisivi, anche successivamente…

Si sosterrà che l’aborto è lecito sino al terzo mese, come in Italia, oppure, come accade altrove, che è lecito sino al settimo, o sino al nono, o dopo la nascita, come propongono già alcuni famosi bioeticisti… L’importante, perché l’operazione magica avvenga, è appunto che il mago-scienziato si creda padrone di ciò di cui non lo è, per aver negato all’embrione o al feto su cui esperimenta, con una semplice definizione cangiante, con una formula magica, la sua realtà e oggettiva consistenza…

Infine, per concludere, la clonazione ci richiama di nuovo alla affermazione originaria: la magia è sogno di onnipotenza. Sogno, intendo, perché come scrive lo scienziato J. Testart, “padre” della prima bambina francese in provetta (e il termine “padre” la dice lunga sulla concezione magica insita nella fecondazione artificiale in genere), alcuni scienziati, dopo una scoperta, credono di aver compreso tutto, che tutto sia chiaro e dominabile. È successo ad esempio che per molto tempo si credesse che con la mappatura del genoma potessimo possedere il “segreto della vita”, sino alla possibilità di manipolare noi stessi e di diventare “più che umani”, “transumani” (Gregory Stock). Invece ancora una volta lo scienziato sincero, che osserva la realtà, che ha pure sperimentato sull’origine della vita, capisce che «la vita è tutt’altra cosa rispetto al Dna», nel senso che non è definita, totalmente, in modo esauriente, da esso. «Quel che preoccupa», scrive Testart, «è l’illusione di controllo (magica, ndr) che si associa a questo riduzionismo» e al fatto che «si fa finta di possedere tutti i segreti della natura, quando in realtà, specie per quanto riguarda la vita, non sappiamo ancora quasi nulla» (J. Testart, La vita in vendita, Lindau).

Un analogo pensiero viene formulato dal grande scienziato Erwin Chargaff, nel suo Mistero impenetrabile. Dopo aver detto che noi non «disponiamo di una definizione scientifica di vita», e che i biologi sottopongono alle analisi più dettagliate «solo cellule e tessuti morti», senza cioè poter afferrare se non parti e aspetti della realtà, Chargaff scrive: «Non siamo sulla terra per annullare il mistero del mondo; ma al contrario per crearlo e complicarlo, per ispessirlo… Quando vi si guarda attentamente si vede che questa è la grande opera della scienza. Il progresso di essa può essere contrassegnato dall’accrescersi del numero dei problemi. Ogni nuovo potere schiude una nuova lista di quesiti».

E continua: «L’illuminismo si è rivelato oscurantismo. Nella nostra caccia ai frammenti abbiamo smarrito le sublimi fattezze della vita… Una volta ho scritto che i grandi biologi del passato svolgevano il loro lavoro alla luce dei misteri o meglio alla luce dell’oscurità (sapere di non sapere, ndr), e lo facevano con un profondo rispetto per la vita che oggi è diventato impensabile. La disinvolta manomissione dei caratteri genetici dell’uomo, un po’ di sale qui, un po’ di pepe là, e poi forse un minuscolo pizzico di sostanza cancerogena, di certo li avrebbe riempiti di orrore. Ma forse mi sbaglio e sono l’unico cui ripugna scrutare nella cucina di Dio, e più che mai sputare nei suoi intingoli. Solo piccoli enigmi possono essere risolti… ma la vita e la morte bisogna lasciarle stare, e il futuro del mondo è in mani migliori quando non è nelle mani di nessuno. Gli orribili esperimenti di ingegneria genetica e di inseminazione artificiale mi mostrano che ci muoviamo su un piano spaventosamente inclinato».

E conclude: «Perciò la scienza dovrebbe culminare in un’adorazione estatica della natura, non in una lotta contro di essa».

Francesco Agnoli

I Parte

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