27/04/2017

Il senso della vita e il coraggio nella vita, contro tutto e tutti

Sul blog di Silvana De Mari è apparso un post davvero pro – vita. Se vogliamo contribuire a rendere la vita di tutti un po’ meglio di quello che è, nonostante tutti i guai, la cattiveria, i problemi che – chi più chi meno – assillano tutti, dovremmo diffondere delle testimonianze come queste.

Dice la De Mari: «Se sono infelice rendo più infelice il mondo. Quindi cercare di essere ogni istante il più felice possibile non è solo un mio diritto, ma il principale dei miei doveri etici». E riporta le testimonianze di alcuni che – in casi davvero limite, casi in cui verrebbe a chiunque voglia di farla finita – hanno adempiuto a tale dovere, diffondendo intorno a sé coraggio, positività, fiducia nella vita e – in ultima analisi – felicità, serenità, nonostante tutto.

In questi tempi di “vita non degna d’essere vissuta”, da terminare, e di suicidi oltre confine da sbandierare come gesti di civiltà, la De Mari ci ricorda, ad esempio, William Ernest Henley,  l’autore della poesia Invictus, che scriveva: «Per quanto enorme sia la notte che mi circonda da tutte le parti, io sono e resto l’unico Capitano della mia anima».

«All’età di diciassette anni gli fu amputata una gamba per un morbo di Pott (tubercolosi ossea): alle gambe uno ci è affezionato e, quando non le ha più, gli mancano. Oltretutto il morbo di Pott fa un male porco. In tutti i casi, questo uomo è riuscito a vivere fino a cinquantadue anni, non è poco, siamo nell’800, e lui soffriva di tubercolosi fin dall’età di diciassette anni. Ma soprattutto ha avuto una moglie che ha amato e da cui è stato amato, e dei figli, che, forti e sani, se ne sono andati per il mondo.

pelzer_bambino_violenza_vitaDave Pelzer è l’autore del libro “Il bambino chiamato cosa”, non so se sia stato tradotto in italiano. La mamma era un po’ irritabile, per vari motivi, per esempio perché era sola, secondo lei era colpa di Dave, che non avrebbe dovuto nascere: lui era nato e il rispettivo padre e compagno se ne era andato, insalutato ospite. Tutte le volte che era arrabbiata, la mamma di Dave metteva Dave con gli avambracci dentro al forno, acceso, fino a quando si formavano delle bolle (ustioni di secondo grado) che poi curava versandoci sopra della varechina. Il campo di concentramento in cui Dave è rinchiuso finalmente si schiude con i suoi sei anni, le martoriate braccia di Dave raggiungono la scuola dove inorridite insegnanti e assistenti sociali si rendono conto della catastrofe e intervengono. Dave viene finalmente tolto alla sua problematica e disfunzionale madre. E Dave passa gli anni successivi a parlare con psicologi e assistenti sociali che cercano di curargli il trauma e lui sopporta con una noia assoluta. Dave il trauma non ce l’ha. Come Mozart, è l’enfant prodige della musica, Dave Pelzer è l’enfant prodige della resilienza; a quattro anni lui scopre come si fa a resistere: tieni l’attenzione concentrata su quello che funziona, lui è vivo, mamma non lo ha mai ammazzato, poteva andare peggio, nella sua maniera folle e disfunzionale, mamma lo ha accudito, quindi un po’ lo ha amato, una volta gli ha fatto i biscotti: lui tiene l’attenzione concentrata su quel ricordo. Lui non ha potuto scegliere se avere una madre migliore, ma per tutto il resto della sua vita lui può scegliere su quale ricordo concentrare l’attenzione. Già da bambino, pur senza conoscere i termini corretti, Dave capisce che mamma è malata e disfunzionale, c’è qualcosa che non funziona all’interno della testa di mamma, ma lui è stato bravo, è riuscito a sopravvivere, è riuscito a fermare mamma prima che lo ammazzasse, lui è vivo e mamma non è diventata un’assassina. Dave è un vincitore e può passare il resto della vita a godersi la vita e la vittoria, questo il passaggio fondamentale che è avvenuto nella testa di Dave e che deve avvenire nella nostra, in quelli di noi che hanno avuto genitori disfunzionali. Molti di noi hanno avuto genitori disfunzionali (ma chi accidenti c’è su questo pianeta, a parte i marziani e gli abitanti del mulino bianco, che ha avuto genitori perfetti 24 ore al giorno 365 giorni l’anno 366 quelli bisestili ?) nonni disfunzionali, insegnanti disfunzionali, vicini di casa criminali e compagni di classe hooligan».

Dice la De Mari  che «gli stati mentali sono contagiosi, se miglioro il mio, miglioro inevitabilmente quello di tutti quelli con cui vengo a contatto e quindi il mondo». Questa è una grande verità che ciascuno di noi può sperimentare nella vita quotidiana. Ed è vero anche il contrario, cioè, anche la negatività è contagiosa. Del resto gli psichiatri sono concordi nel constatare che come l’istinto suicidario è contagioso (effetto Werther), così si può riscontrare “l’effetto Papageno” quando qualcuno scampa il suicidio.

E questo dovrebbero tenere a mente anche i fautori dell’eutanasia: la voglia di morte è contagiosa... 

Redazione


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