18/03/2018

Il Sessantotto è stato “di sinistra”? Una rilettura

Il Sessantotto è comunemente descritto come un movimento “di sinistra”, un’ondata comunista che ha travolto l’Occidente.

L’analisi delle cause di questo fenomeno giunge, in genere, a considerarlo come una “reazione” in gran parte meccanica (e quindi spontanea) ad una società “borghese” ipocrita, materialista e bigotta.

Il Sessantotto: una rilettura (opposta a quella corrente)

Vi propongo un gioco di fanta-storia e fanta-politica. Ipotizziamo una rilettura affatto diversa, anzi: contraria.

Lasciamo per un momento da parte il libretto rosso di Mao, i pugni rivolti al cielo e qualche slogan.

Quali fenomeni sociali sono stati toccati dal Sessantotto?

Innanzitutto, in quel periodo, ai ragazzi crescono i capelli, o meglio: non vengono tagliati; e con i capelli crescono lunghi e disordinati barbe e baffi. Ma la zazzera selvaggia da dove arriva? Dalla Cina di Mao? Nemmeno per idea! Forse dalla Russia da Brežnev? Figuriamoci. È semplicemente una scimmiottatura della beat-generation… statunitense!

Ma la rivoluzione non riguarda solo i capelli maschili, riguarda la moda. Se guardiamo qualche fotografia di giovani degli anni Cinquanta ci colpisce una cosa: l’anonimato. I ragazzi benestanti indossano un abito scuro, con camicia bianca e cravatta; quelli meno abbienti anonimi pantaloni e maglioni fatti a mano. Se a qualcuno capitava la ventura di ritrovarsi addosso un abito nuovo (e non di seconda mano) la prima cosa che faceva era tagliare le etichette: la marca non si esibiva.

Dal Sessantotto, invece, compaiono i marchi commerciali: le Clarks, ad esempio (che non sono certamente scarpe “proletarie”); i jeans (statunitensi); le prime “scarpe da ginnastica” (anch’esse importate d’oltreoceano). E l’eskimo? L’indumento simbolo del Sessantotto, al quale Guccini ha addirittura dedicato una canzone? Made in USA, pure quello. Si tratta, infatti di una rielaborazione del cappotto M51 usato dall’esercito statunitense durante la guerra di Corea.
Per le ragazze l’evoluzione dell’abbigliamento è legata ad un fenomeno tipico del Sessantotto: la liberazione sessuale, cioè la libertà femminile di essere un oggetto sessuale. Dagli Stati Uniti arriva il bikini, e dal Regno Unito (che non conobbe un Sessantotto…) la minigonna.

E la musica? Il Rock (non certo sovietico, o maoista) venne in un certo modo inglobato dalla melodia italiana e non divenne la colonna sonora del Sessantotto. L’onore spettò invece ai “cantautori”, che trassero ispirazione… da Bob Dylan, Joan Baez e la musica folk (parola interessante…) statunitense.

La letteratura? Il libretto rosso di Mao era più che altro un distintivo e, a parte grandi supercazzole pseudo-marxiste, la letteratura che andava per la maggiore era (un’altra volta) statunitense: grazie anche al lavoro di Fernanda Pivano, nelle tasche degli eskimo non c’erano le opere di Lenin, ma l’intera collezione delle opere beat.

Insomma: il riferimento del Sessantotto era l’America, altro che la Russia o la Cina.

Lo dichiara da una vita Valter Veltroni: i modelli dei giovani impegnati erano Martin Luther King e JFK.

Sessantotto e mondo cattolico: il “catto-comunismo”

E nel mondo cattolico? Anche il mondo cattolico ebbe il suo Sessantotto, il “catto-comunismo”. I catto-comunisti si ispiravano forse a qualche starec russo, a qualche monaco taoista? Ma nemmeno per idea, il riferimento era ancora quello: l’America.

Dove nasce il dissenso ecclesiale? Negli USA: il 31 luglio 1968 il New York Times pubblicò un’intera pagina, firmata da oltre duecento teologi cattolici, intitolata «Contro l’enciclica di papa Paolo» (cioè l’Humanae vitae).

È in quegli anni che nelle chiese, anziché cori russi (magari…) si cantano Quante le strade (traduzione di Blowin’ in the wind) e il Padre nostro sulle note di The sound of silence.

Il pacifismo, del quale sentiremmo volentieri la voce oggigiorno? Una semplice scimmiottatura delle contestazioni americane contro la guerra in Vietnam.

Persino don Milani, che il comunismo pareva conoscerlo bene, scelse per i suoi giovani un motto statunitense: I care, «il motto intraducibile dei giovani americani migliori».

Rilettura del Sessantotto... con Guareschi e Pasolini

Due grandi intellettuali italiani, entrambi profondi conoscitori del comunismo, avvalorano questa (fantasiosa, lo ribadiamo) rilettura.

Il primo è Giovannino Guareschi, che si è sempre battuto con coraggio intellettuale e fisico contro il comunismo. Allo spuntare della contestazione giovanile non accusa i suoi protagonisti di comunismo; ma di consumismo, di materialismo, di essere succubi della pubblicità.

Il secondo è Pier Paolo Pasolini, che il 16 giugno 1968 pubblica una poesia intitolata «Il Pci ai giovani». Dopo la battaglia di Valle Giulia tra studenti e poliziotti, Pasolini si schiera decisamente a favore dei secondi: «Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi quelli delle televisioni) vi leccano (come ancora si dice nel linguaggio goliardico) il culo. Io no, cari. Avete facce di figli di papà. Vi odio come odio i vostri papà. […] Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti. Perché i poliziotti sono figli di poveri. […] A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento di lotta di classe: e voi, cari (benché dalla parte della ragione) eravate i ricchi, mentre i poliziotti (che erano dalla parte del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque, la vostra! In questi casi, ai poliziotti si danno i fiori, cari. Stampa e Corriere della Sera, News- week e Monde vi leccano il culo. Siete i loro figli, la loro speranza, il loro futuro».

Questa poesia di Pasolini fa emergere un altro dato: uno degli obiettivi della contestazione era il PCI («Mi dispiace. La polemica contro il Pci andava fatta nella prima metà del decennio passato. Siete in ritardo, cari»).

Proprio così: il Partito Comunista Italiano, il più forte partito comunista d’Europa, il più fedele (almeno fino al Sessantotto) a Mosca, era uno dei bersagli della contestazione. Che, infatti, non riuscì a cavalcare, né a governare.

Il fatto è che, in quegli anni, nasce in Italia una sinistra alternativa al PCI.

Fallito il progetto del Partito d’Azione prima e del Partito Liberale poi, e del settimanale Il Mondo, un gruppo di atlantisti, progressisti, laicisti e liberisti (tra i quali Eugenio Scalfari e Marco Pannella) fondarono il Partito Radicale Italiano, il settimanale L’Espresso e il quotidiano La Repubblica. Questi furono gli strumenti di una nuova sinistra molto simile a quella liberal statunitense. Non a caso Augusto Del Noce profetizzò che il Partito Comunista si sarebbe trasformato nel «Partito Radicale di massa»; infatti il PCI si è lentamente trasformato nel «Partito di Repubblica». Dal Sessantotto, lentamente ma inesorabilmente, il Partito Comunista Italiano si è trasformato in un partito liberista e atlantista; da partito degli operai è diventato il partito delle multinazionali, delle società per azioni e dei consigli d’amministrazione (chi ha abolito l’articolo 18?).

La nostra rilettura fantasiosa del Sessantotto potrebbe continuare, riflettendo sul fatto che la ribellione contro l’autorità, rappresentante della legge morale, è la cifra caratteristica del liberismo: laissez faire! Nessuna autorità osi fermare le passioni concupiscibili (il profitto, ovviamente, ma… perché non il desiderio sessuale?). Nessuna autorità si frapponga nel libero scambio tra due parti consenzienti (ancora parlo di affari, non di sesso…).

La “rivoluzione sessuale” non è forse nata negli Stati Uniti, incentivata da dosi massicce di LSD generosamente fornite dal governo statunitense?

Noi abbiamo avuto prima le anfetamine, poi la morfine e infine l’eroina, che fece migliaia di morti.

In entrambi i casi, le droghe diedero una spinta al rigetto totale della morale sessuale fino ad allora vigente.

Ma lo ripetiamo: la nostra è una rilettura fantasiosa. Soltanto una rilettura fantasiosa.

Roberto Marchesini


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