20/02/2018

La cessione dei neonati: aspetti giuridici ed etici

I giudici italiani stanno forzando l’interpretazione della legge, legalizzando la violazione dei diritti fondamentali dei neonati.

In Italia l’utero in affitto è una pratica illegale, anche se effettuata a titolo gratuito, ed è prevista come reato dalla L. 40/2004. Non è però punibile se effettuata all’estero, anche da italiani.

Fino ad oggi, i nostri Pubblici Ministeri hanno incriminato per il reato di alterazione di stato civile (cioè per aver dichiarato all’anagrafe la nascita di un figlio proprio non partorito dalla donna stessa) le coppie che vi avevano fatto ricorso all’estero, registrando come figli propri i bambini nati a mezzo di surrogazione in Paesi dove è legalizzata e disciplinata.
Di recente, però, alcuni Tribunali hanno assolto dal reato alcune di queste coppie, sostenendo (in estrema sintesi) che la legalizzazione della filiazione effettuata dallo Stato straniero secondo la propria legge impedisce il perfezionamento del reato.

In questo articolo non si intende commentare tali decisioni sotto un profilo strettamente giuridico, ma fornire alcuni strumenti per comprendere che si tratta di aperture che legalizzano la violazione dei diritti fondamentali dei neonati coinvolti.

Cerchiamo quindi di chiarire qualche concetto giuridico che permetta di comprendere come la cessione di un essere vivente – di neonati – non possa essere ammessa nemmeno a titolo gratuito.

In primo luogo, teniamo in considerazione il fatto che, alla nascita, il bambino non è una res nullius (cosa che non appartiene a nessuno), ma un essere umano. Aggiungiamo anche che, per la legge italiana, esso è figlio della donna che lo partorisce, indipendentemente dall’origine genetica del gamete da cui è stato concepito. Lo riafferma chiaramente anche il provvedimento del Tribunale Roma 20/08/2014, che applica le norme sulla filiazione alla diatriba tra le coppie vittime dello scambio di embrioni fecondati in vitro: «La maternità naturale è ancora oggi legata al fatto storico del parto». Quindi il bambino che nasce è, per la legge italiana, figlio di chi lo ha partorito e non, come si pone nel caso di surrogazione, di chi ha fornito parte del patrimonio genetico.
All’estero non sempre è così: laddove la surrogazione è permessa, la disciplina varia, dalla fictio iuris di considerare il neonato figlio dei committenti, alla finzione di adozione da parte dei committenti stessi a seguito di rinuncia alla maternità (preventiva o successiva al parto) da parte della puerpera.

In ogni caso, ciò che materialmente accade è questo: una donna partorisce un bambino, dopo averlo portato in grembo per nove mesi, nutrendolo, proteggendolo, facendolo crescere dallo stato embrionale allo stato di feto, e poi lo cede ad altri che avevano ‘ordinato’ il bebè, allo scopo di avere un figlio che la natura impediva loro di concepire. Il fatto che l’ovulo fecondato nella maggioranza dei casi non appartenga alla donna che porta avanti la gestazione non elimina lo status di madre di questa donna.

Il che, evidentemente, ripropone vigorosamente la necessità di riaffermare, una volta per tutte, la validità giuridica, filosofica, antropologica, morale e logica, del concetto di naturalità nei fatti che caratterizzano la società.
Purtroppo, laddove la maternità surrogata è permessa non è così e si è proceduto alla creazione o alla modifica ad hoc della legge, al fine di consentire la finzione della filiazione sganciata dal parto. Nel nostro Paese vi sono istanze affinché la maternità surrogata venga legalizzata, correlandone la possibilità alla gratuità della stessa, trasformando la dazione dei gameti in ‘donazione’ (non lasciamoci trarre in inganno, chi mette a disposizione sperma e ovuli non lo fa gratis, ma come minimo pretende almeno un congruo ‘rimborso spese’) e l’affitto di utero in ‘comodato gratuito’, anche in questo caso a fronte di un adeguato ‘rimborso spese’.

Nella realtà dei fatti, però, quanto viene ‘donato’ non sono il gamete o l’utero, bensì il bambino: la donna che partorisce il bimbo è la ‘proprietaria’ dell’utero e il neonato, anche se non avrà il suo patrimonio genetico, sarà stato cresciuto, nutrito e partorito da lei, da tutto il suo corpo, non da altri. Per quanto si possa mascherare la cosa – cambiando nomi, usando eufemismi e creando così una neolingua – quanto accade in caso di utero in affitto è dunque una vera e propria cessione di neonato dalla madre a terzi.

È dunque lecito regalare un bambino, dei neonati? O peggio ancora farlo entrare in accordi di tipo commerciale sotto pagamento concordato? Tornando alla definizione giuridica da dare alla surrogazione gratuita, l’art. 769 del Codice Civile definisce la ‘donazione’ come il «[...] contratto col quale per spirito di liberalità una parte arricchisce l’altra disponendo a favore di questa di un suo diritto». Per la legge italiana, dunque, escluso che possa farsi rientrare la maternità surrogata nell’ambito dell’adozione, dovrebbe parlarsi di donazione di neonato. Ma se la donazione è un contratto, ad essa si applicano necessariamente le norme sui contratti. Cosicché, in ipotesi, alla cessione del neonato dovrebbero applicarsi gli artt. 771, 810, 1346, 1418 del Codice Civile. I quali prevedono che «La donazione non può comprendere che i beni presenti del donante. Se comprende beni futuri è nulla rispetto a questi» (art. 771 c.c.); “Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti” (art. 810 c.c.); «L’oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile» (art. 1346 c.c.), «Producono nullità del contratto [...] la mancanza nell’oggetto dei requisiti stabiliti dall’art. 1346 c.c.».

Non sembra vi sia bisogno di spiegare altro: la donazione del frutto di una maternità surrogata appare del tutto contra legem, oltre che immorale. Infatti, affinché possa ritenersi valida una donazione siffatta, sarebbe necessario trasformare il neonato da soggetto di diritto, quale è in quanto essere umano, oltre che ai sensi di ogni legislazione sovranazionale, ad oggetto di diritti, privandolo in tal modo della sua natura di persona viva e, per di più, particolarmente meritevole di tutela.
Invece, appare evidente che l’oggetto del contratto (che sia compravendita o donazione, poco importa), cioè la cessione di un bambino appositamente fatto nascere per darlo alla coppia che lo ha ‘ordinato’, è impossibile, in quanto il neonato o i neonati, oggetto del contratto, non sono, per legge, un bene in senso giuridico e non possono formare l’oggetto di diritti altrui. Non sarebbe dunque nemmeno necessario vietare qualunque accordo che includa l’essere umano in quanto oggetto di scambio. Le persone che non possono – per malattia, per inclinazione sessuale, o per scelta – avere figli propri, soffriranno per questa limitazione?
Indubbiamente sì, esattamente come hanno sofferto le centinaia di migliaia di persone che, nei secoli, hanno desiderato un figlio e non hanno potuto procrearlo. Ma non si può nemmeno pensare che i bambini fatti nascere con la tecnica della surrogazione, scambiati per denaro (che sia chiamato prezzo o rimborso spese, poco importa) o ‘regalati’, debbano soffrire per essere strappati dal seno della donna che li ha tenuti in grembo e per essere stati trattati come oggetti del preteso diritto di avere figli, una volta che vengano a sapere come hanno avuto la ventura di nascere, perché tale pratica è disumanizzante nei loro confronti e non c’è dichiarazione d’amore che possa lenire la ferita di chi si sente oggetto di un contratto, stipulato esclusivamente per l’egoismo di chi lo ha voluto.

Monica Boccardi

Fonte: Articolo apparso su Notizie ProVita di Gennaio 2016, pp. 19-20


FIRMA ANCHE TU

Per la salute delle donne:

per un’informazione veritiera sulle conseguenze fisiche e psichiche dell’ aborto 

Questo articolo e tutte le attività di Pro Vita & Famiglia Onlus sono possibili solo grazie all'aiuto di chi ha a cuore la Vita, la Famiglia e la sana Educazione dei giovani. Per favore sostieni la nostra missione: fai ora una donazione a Pro Vita & Famiglia Onlus tramite Carta o Paypal oppure con bonifico bancario o bollettino postale. Aiutaci anche con il tuo 5 per mille: nella dichiarazione dei redditi firma e scrivi il codice fiscale 94040860226.