09/06/2017

“La cultura della morte”: un ritratto della nostra società

È la passione per la vita che ha spinto il giovane giornalista Stelio Fergola a scrivere “La cultura della morte. Aborto, eutanasia e nuovo vangelo progressista“, da poco uscito per le edizioni La Vela. Lo confessa lo stesso autore nell’introduzione, notando con acume il tragico paradosso del tempo attuale: nella nostra società si assiste ad una smodata esaltazione della vitalità da parte degli stessi individui che quotidianamente lottano per ostacolare le nascite e porre fine in anticipo all’esistenza di chi è malato.

Sì, è proprio così. Siamo immersi in una vera e propria cultura della morte, nascosta anche e forse soprattutto in una distorta celebrazione della vita. Per il mondo di oggi vita è solo e soltanto godere appieno dei piaceri carnali e materiali; vita è avere, possedere, dominare, fare tutto ciò che si vuole. In pratica, a dominare sono l’individualismo sfrenato, l’utilitarismo più spinto, l’edonismo senza freni, tipici di una civiltà – se così si può ancora chiamare – che ha dimenticato le sue radici e i suoi valori fondanti. Non è un caso che di fronte al terrorismo islamico l’Occidente reagisca innalzando il vessillo di quelle “conquiste” progressiste che in realtà stanno contribuendo a distruggerlo. La cultura della morte, appunto.

Come spiega con molta chiarezza Fergola, eutanasia e aborto sembrano essere i due pilastri principali su cui si regge questa mentalità: il dibattito sul testamento biologico che si sta svolgendo nel nostro Paese, con la strumentalizzazione e lo sfruttamento di casi drammatici come quello di Dj Fabo e la battaglia contro il diritto all’obiezione di coscienza in tema di aborto (nonostante sia previsto dalla stessa legge 194/1978) ne sono un esempio eclatante. Il libro passa in rassegna i fatti di cronaca degli ultimi tempi e si sofferma ad analizzare la strategia impiegata dai radicali, che in Italia sono i veri paladini della cultura della morte. Una strategia, la loro, che purtroppo si è dimostrata di successo, data anche la debolezza (e a volte pure l’incompetenza) del fronte avversario.

La tattica radicale è sempre la stessa: utilizzare casi limite ed estremi per commuovere l’opinione pubblica e indurla a ritenere che vi sia un’emergenza. Oggi è la sofferenza dei malati terminali, ieri la discriminazione degli omosessuali, l’altro ieri gli aborti clandestini e il pericolo per la salute delle donne e così via.

Peccato che i dati reali e oggettivi siano sempre stati altri. Un caso tipico è proprio quello degli aborti clandestini: radicali e Unesco diffusero informazioni palesemente false pur di introdurre la legalizzazione dell’omicidio dei bambini non nati in Italia. Chiunque non sia accecato dall’ideologia può rendersene conto. E nonostante ciò di questo non si parla, anzi si continua ad andare avanti con la solita propaganda, con le solite menzogne. “Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità” diceva Goebbels… Lo stesso accade con l’eutanasia: si nascondono i dati di quanto accade in Belgio, Svizzera e Olanda, dove basta una depressione per farsi ammazzare. Oltretutto dopo aver pagato un lauto compenso al medico-killer.

L’indifferenza, l’apatia e spesso la viltà fanno trionfare la cultura della morte. Del resto – e questa è forse la parte più interessante del libro – la cultura della morte è veicolata potentemente e prepotentemente dalla tv e in particolare dai film e dalle serie tv, di cui si imbevono le nuove generazioni. La propaganda tipica degli Stati totalitari oggi ha solo cambiato di aspetto, adattandosi alle moderne democrazie mortifere.

Di esempi se ne possono citare molti. Basti segnalare Sex and the City, in cui si presenta il modello della donna in carriera, che cambia uomo con enorme facilità e non ha alcuna intenzione di metter su famiglia: una visione mercificata delle persone e dei sentimenti, che tanto piace al mondo odierno. Una civiltà che si regge su questi presupposti è condannata alla sterilità fisica e spirituale e dunque alla morte. Le polemiche sul Fertility Day cui abbiamo assistito nel settembre 2016 sono state molto eloquenti.

Purtroppo persino la Chiesa o – meglio – molti uomini di Chiesa, sin nelle più alte sfere, hanno smesso di combattere. Il diritto alla vita sembra non interessare più o quantomeno si stanno adottando soluzioni pastorali (come va di moda chiamarle oggi) che hanno come unico risultato l’avanzata del nemico. E sia chiaro, la battaglia contro aborto, eutanasia, fecondazione artificiale, “matrimoni” omosessuali e quant’altro non è appannaggio dei cattolici o comunque dei credenti. Fergola lo precisa e anzi dà a questi temi una lettura assolutamente laica. Però è indubbio che la Chiesa ha sempre avuto e ha il diritto di avere un ruolo importante e decisivo in quest’ambito. E in Italia la rivoluzione culturale e antropologica è sempre stata ritardata provvidenzialmente dalla presenza di Roma. Ma se il sale perde sapore, a cosa potrà mai servire?

Degna di nota è proprio l’attenzione che il libro riserva al nostro Paese. «L’identità italiana – scrive l’autore – si fonda in buona parte sulla cultura della famiglia e resiste ancora, nonostante i suoi appartenenti ne siano completamente inconsapevoli. Resiste nonostante il numero ormai infinito di famiglie separate e di figli lasciati soli a loro stessi. Resiste, più che esistere, man mano che le sollecitazioni esterne proseguono, che le leggi emanate dai poteri forti vengono attuate, che la propaganda si fa più incessante». Infatti, «nonostante nella sua versione attuale non mi piaccia e sia abitata in gran parte da cittadini che ne sono indifferenti per formazione – afferma –, perfino questa Italia è sotto attacco, perché la sua cultura millenaria è di ostacolo ai dogmi del progressismo ostile alla vita e alle leggi dell’economia liberale».

Ecco, sono proprio questi resti della nostra civiltà che dobbiamo difendere. Ed è da questi residui che occorre ripartire per ricostruire una civiltà della vita.

Federico Catani


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