13/05/2018

La gioia della vita, contro l’ipocrisia

Da un semplice episodio della quotidianità di vita in famiglia, una riflessione sul senso della vita...

Oggi ero vicino a nostro figlio e lo seguivo nel suo studio della lingua inglese. Per la prima volta mi sono resa conto che gli inglesi utilizzano la stessa parola “work” sia per il lavoro, sia per il funzionamento. In un attimo ho collegato questa triste realtà di oggi: l’essere umano funziona se lavora e se dunque è capace di produrre. Ecco l’accanimento di tanti nel diffondere questa cultura della morte, spaventando i giovani di fronte alla possibilità di un nascituro con malformazioni. Proprio di spavento si tratta perché nessuno può per certo sapere come realmente sarà la vita di quella creatura. Ci sono delle statistiche che in alcuni casi sbagliano anche di tanto, dando percentuali di malformazioni su bambini sani...

Quando un figlio o una figlia si ammala, noi genitori stiamo loro vicino. Ci prendiamo cura di loro e se anche questa malattia o qualche evento particolare dovesse portarli ad una vita di disabilità, il nostro amore e la nostra cura verso di loro, deboli e indifesi, aumenterebbe. Non solo. Saremmo anche spettatori di tanta solidarietà e di tanti aiuti. Ma che cosa succede se questa malattia o disabilità venisse in qualche modo diagnosticata prima? Ecco che quella stessa solidarietà si trasforma in ipocrisia: «Meglio che non nasca». Perché? Perché negare a se stessi e al mondo un dono così grande, com’è quello della vita?

Come arrivano i genitori a decidere di uccidere con l’aborto il proprio figlio debole e indifeso?

Ci hanno come anestetizzato, tanto da arrivare a sentire la vita che cresce nell’utero della mamma come un qualcosa da cui stare in guardia e da eliminare se imperfetta. Ma la vita è altro dalle cose! La vita è sempre un dono da accogliere e da difendere perché è nell’accoglienza e nella difesa della vita che si genera altra vita che non si ferma davanti alle difficoltà ma va avanti.

Si pensa sempre alla sofferenza della creatura in vita ma poco o per nulla si pensa allo spavento, alla paura del bambino nell’utero della mamma, il posto dove dovrebbe essere più al sicuro, crescendo indisturbato e protetto. Non si pensa alla sofferenza del suo trovare la morte là dove si sta sviluppando la sua vita. È incredibile, nessuno parla ai genitori di questo e neppure delle conseguenze.

Non lasciamoci anestetizzare, rimaniamo vigili sul dono della vita che sta a noi proteggere dalle mani di chi, per motivi esterni alla vera custodia dell’umano, ha interesse ad uccidere.

Denise Biscossi

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