11/03/2014

La madre discriminerebbe la figlia sin dall’allattamento

Maschi e femmine non sono diversi: sono resi tali da millenni di costrizioni e stereotipi. I condizionamenti ambientali, le aspettative ed i vincoli sociali avrebbero costretto nei panni di donna e madre le femmine e di padre i maschi. Questa la straordinaria conclusione a cui giungono le attuali teorie fondanti delle teorie gender, riciclando a proprio uso e consumo quelle femministe degli anni della cosiddetta liberazione femminile e della libertà sessuale.

Più precisamente per tanta parte del femminismo di maniera la colpa sarebbe della figura materna (sempre alla faccia della tanto sbandierata solidarietà-tra-donne): è infatti la madre a far sì che suo figlio diventi maschio od una femmina. Come? Semplicemente tramite le costrizioni sociali entro cui li blinderà.

Non si tratta solo di completini rosa per le femminucce e macchinine per i maschi: la socializzazione partirebbe molto prima ed in modo assai più infido ed incisivo.

Libro culto di tale teoria è “Dalla parte delle bambine”, saggio a cura di Elena Gianini Belotti, direttrice, tra l’altro, del Centro Nascita Montessori di Roma dal 1960 al 1980, saggio in cui si gettano le basi della teoria gender ante litteram, limitandosi –siamo negli anni ’70- alla destrutturazione del concetto di maschile e femminile, via maestra che poi verrà percorsa in modo più scientifico dai fautori GLBTQI nei decenni successivi.

Uno degli strumenti principe di tale disegno è, secondo la pedagoga, l’allattamento o, meglio, gli opposti approcci con cui una madre si appresterebbe ad alimentare il proprio figlio: maggiore attenzione, cura, tempo e disponibilità per il maschio, incuria e frettolosità per la femmina. Ciò accadrebbe, stando a questa teoria, per innumerevoli motivazioni.

Il primo è il piano educativo e di investimento formativo sulla propria progenie: mentre il maschio deve essere alimentato molto più frequentemente e con particolare cura, per abituarlo a considerare la figura della donna, riassunta nell’immagine materna, a sua completa disposizione, la femmina, al contrario, deve sin dai primi mesi di vita entrare nell’ordine di idee di dover affrontare una vita di frustrazioni e limitazioni, assecondando i propri bisogni alle necessità degli altri.

La considerazione trascende il rispetto filiale o l’amore materno: l’allattamento è una vera e propria palestra di vita in cui si duplicano gli schemi sociali e si disegna una società in cui la donna viene resa autosufficiente per le piccole e quotidiane incombenze, concedendole di non dipendere da altri per i propri bisogni fondamentali ma, contemporaneamente, instillando in lei una profonda dipendenza da altri nel percorso di autorealizzazione. L’uomo invece deve abituarsi ad esprimere autorità ed a saper utilizzare tutto ciò che gli altri mettono a disposizione per realizzare se stesso.

L’allattamento si inserisce in un percorso formativo composto anche dal classico duopolio di imitazione ed identificazione: strumento pericolosissimo in quanto la bambina inizierà ad imitare la madre, identificandosi in ella. Secondo la Belotti, invece, si dovrebbe procedere partendo da una tabula rasa, permettendo ad un bambino di identificarsi nella madre come ad una bambina farlo con il padre. Del resto, se donna e uomo sono sovrastrutture imposte dalla società e che nessun collegamento hanno con il piano immanente e naturale, ancorché fisico, ciò non accade solamente per la repressione educativa a cui tutti noi siamo costretti.

Già nel 1973, anno di uscita della prima edizione del libro, quindi, le teorie gender erano già state strutturate ed iniziavano a vivere grazie all’impianto ideologico della liberazione sessuale e della contestazione dell’istituzione della famiglia tradizionale. Dottrine, queste, che certamente si limitavano alla distruzione dei due sessi ma che permettendo di disancorare i ruoli ricoperti dal proprio essere, hanno dato l’avvio ad un percorso di destabilizzazione senza più regole né tantomeno limiti.

Degna di nota, sempre sull’onda del profondo degrado e conformemente all’assunto per cui nessuno ha più ruoli prestabiliti –nemmeno una madre-. “Allattare” scrive la Belotti “dà un certo piacere erotico suscitato dalla stimolazione dei capezzoli da parte del lattante: sembra più accettabile, più normale che questa stimolazione provenga da un maschio piuttosto che da una femmina, per quanto molte donne neghino che questo piacere esista.” Ogni commento potrebbe, a questo punto, risultare superfluo.

Redazione

 

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