14/04/2019

La “Maestà sofferente” che fa infuriare le femministe

Se finanche le femministe di Non una di meno protestano contro un’installazione che dovrebbe simboleggiare il problema della violenza sulle donne, allora vuol dire che probabilmente non siamo esattamente di fronte ad un capolavoro o quanto meno l’obiettivo non è stato centrato nel modo giusto.

Ci riferiamo a Maestà sofferente di Gaetano Pesce, esposta a Milano, in piazza Duomo, nell’ambito del Salone del mobile. L’opera si rifà alla poltrona Up5&6, realizzata dallo stesso designer, nel 1969: raffigurerebbe (usare il condizionale in questo caso è d’obbligo) un corpo femminile trafitto da molte frecce. In realtà, a guardar bene, si scorgono solo un insieme di protuberanze non ben definite che sui social sono state interpretate nelle maniere più fantasiose. È per questo che con lo slogan «Ceci n’est pas une femme» (Questa non è una donna) persino le femministe sono scese in campo per protestare. E proprio a loro vorremmo rivolgerci sottolineando come, l’episodio in questione, dimostra che persino un tema serio come la violenza sulle donne può essere strumentalizzato anche da chi dice di sposarne la causa.

La prova di ciò è proprio l’uso di una scultura che, anziché esaltare le potenzialità e la bellezza del corpo femminile, tende quasi a ridicolizzarlo, senza problemi o scrupoli di sorta. Ed ecco che la questione della violenza sulla donna, proprio da parte di quel mondo che si riempie la bocca di proclami filo-femministi, viene trasformata nella fiera del cattivo gusto. Quindi sarebbe interessante chiedere alle manifestanti di Non una di meno se oltre a scagliarsi contro il Congresso di Verona, a detta loro un “ritorno al Medioevo” – che invece è stato un importante luogo di dibattito, formazione e confronto, in cui la figura della donna è stata messa al centro, considerandone e valorizzandone tutti gli aspetti e le unicità – siano disposte ad aprire gli occhi davanti alla retorica di un mondo che è proprio quello da cui provengono, al quale non interessa davvero il rispetto della donna ma solo trasformare certe “ battaglie” in un mezzo di cui servirsi, al momento opportuno, per i propri interessi.

Manuela Antonacci

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