15/07/2018

La “Repubblica dei Professori”

«Letterati, artisti, pensatori, tutti quelli che Thibaudet radunerà nella sua “Repubblica dei Professori”, e che oggi collocherebbe nella classe dei tecnocrati e degli specialisti della “ragione pratica” […]. Si ritengono investiti di una missione: riformare i costumi, mutare le idee e i gusti, proporre e imporre una concezione nuova del mondo, suscitare dall’alchimia della Evoluzione o dalla magia della Rivoluzione, un “uomo nuovo”, una “società nuova”».

Con queste parole Marcel De Corte tinteggiava, alla fine degli anni ’60 nel suo L’intelligenza in pericolo di morte, il quadro culturale che si andava delineando sempre più chiaramente dinanzi ai suoi occhi. Un quadro che oggi si può dire ultimato, perché l’ideologia la più perniciosa che si potesse immaginare è ormai dilagante in seno alla società proprio grazie all’indottrinamento operato dai “pensatori”. Come abbiamo già avuto modo di scrivere in tema di aborto, il primo motore della Rivoluzione, la causa originaria che dà la propulsione ai capovolgimenti sociali, non è rappresentata né dai legislatori né dai giudici, ma dagli intellettuali.

La Repubblica dei Professori è il mondo in cui viviamo, preparato sin dall’illuminismo col pretesto di liberare gli uomini dallo “stato di minorità” ovvero, come scrive Kant, dalla «incapacità di servirsi della propria intelligenza senza la guida di un altro». In realtà è proprio in quest’epoca che si pongono le premesse per quella «dittatura dell’intelligenza» in cui, dalle aule universitarie alle redazioni dei giornali, professori e letterati inoculano nel corpo sociale il veleno del pensiero unico. Prima dell’avvento del razionalismo, il ruolo dei maestri (quelli veri) non era quello di dire alla gente “come pensare”, ma di fornire ai discepoli gli strumenti necessari a interpretare la realtà: sum ergo cogito era il motto della philosophia perennis (la realtà mi precede e il mio pensiero ne è l’interprete); fu sostituito dal cogito ergo sum della filosofia moderna (il mio pensiero crea la realtà).

La società, qualunque essa sia, si muove nella direzione indicata dall’autorità che ne è la causa motrice; ma l’autorità non è solo politica, bensì (prim’ancora, per certi versi) anche culturale. Da circa tre secoli, chi detiene le redini della cultura si sente investito di quella missione di riformare i costumi di cui parla De Corte. Oggi questa missione è condensata nell’obiettivo di portare la Rivoluzione in interiore hominis: i “professori” sono, per la maggior parte, in prima linea nella propaganda dell’ideologia gender che mira alla costruzione dell’uomo nuovo per eccellenza: colui che può scegliere di essere tutto come non essere nulla, perché è lui a creare la sua propria realtà.

Tra i tanti esempi abbiamo il professor Lorenzo Bernini, associato di filosofia politica all’università di Verona, che spiega come ci si debba opporre al «binarismo sessuale e alla sessualità obbligatoria propagandata dalla retorica destra-Chiesa». Ecco un caso lampante di propaganda: l’obbligo del binarismo sessuale sarebbe imposto dalle forze reazionarie, non dalla natura. Perciò bisogna opporsi a coloro che impediscono il fiorire della nostra essenza che è frutto del pensiero e non della realtà. Questa è l’aria che si respira, sempre più spesso, nei più importanti centri di cultura, come abbiamo già testimoniato altrove.

Vincenzo Gubitosi

Per approfondire, leggere l’articolo su La Verità del 12 luglio 2018:
Il delirio queer del prof di Verona: «Uomo o donna? È solo convenzione»
di Patrizia Floder Reitter

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