10/05/2017

La scienza non ha sempre l’ultima parola

La scienza oggi domina. O, meglio, domina lo scientismo, che come tutti gli -ismi presenta caratteri preoccupanti.

«Studi scientifici dicono che…». Quante volte abbiamo sentito una simile frase? È diventata una specie di slogan ossessivo, ai limiti dell’intimidazione, sempre pronto a essere messo in campo quando si cerca, per esempio, di persuadere l’opinione pubblica che crescere senza padre o senza madre è una cosa normalissima. Tutti zitti, perché «Studi scientifici dicono che…».

Bene, questo stesso modo di argomentare è violento e dittatoriale. Certo, abbiamo imparato che questi fantomatici studi quasi mai rispettano gli standard minimi richiesti dalla scienza. Ma è manipolatorio anche invocare la scienza come una specie di autorità insindacabile. Il massimo della manipolazione, ci dice Philippe Breton nel suo La parola manipolata, sta in una comunicazione che esige un assenso incondizionato, senza lasciarci libertà di dire sì oppure no.

Scienza: fatti, non valori

Dove sta scritto infatti che la scienza debba dettar legge sempre e comunque? La questione non è oziosa, perché una società dove la scienza è diventata la misura di tutte le cose è a rischio di tirannia. Questa affermazione vi sembra sciocca, dissennata?

Forse apparirà meno sciocca se pensiamo che la scienza studia il mondo come un sistema di forze, non di valori. La scienza indaga i fatti. Ma quando dalla “forza dei fatti” vogliamo derivare un valore cominciano i problemi.

Ad esempio: se il fatto coincidesse col valore nemmeno sarebbe pensabile il diritto, il quale presuppone che i fatti sociali non sempre coincidano con le norme.

Ciò che esiste (di fatto) in società non sempre corrisponde a quel che dovrebbe esistere (la norma o il valore). La legge che punisce il furto non esiste forse perché registriamo un “fatto” indesiderabile, ovvero che qualcuno ruba? Però il fatto che qualcuno rubi non è una buona ragione per regolarizzare il furto (sul piano legale) né per giustificarlo (sul piano morale).

La forza è indispensabile per il diritto. Ma serve a farne valere le ragioni, non è essa stessa la ragione del diritto. L’uso della forza dà efficacia alla legge, ma non le dà necessariamente legittimità.

Nessuno si è mai illuso che vietando il furto i furti si sarebbero fermati. Si tratta, più semplicemente, di una questione di civiltà. In una società civile infatti “certe cose non si fanno”. «La civiltà consiste», ha scritto il filosofo Vittorio Mathieu in un vecchio libro ancora attualissimo, «nel crearsi inibizioni». La civiltà cos’è se non un sistema coerente di inibizioni che rende possibile la convivenza sociale? Così diciamo che in un paese civile non si ammazza, non si ruba, non si oltraggiano le donne, non si opprimono i vecchi e i bambini, non si umiliano i deboli, e così via. Ed è proprio perché queste cose spesso si fanno (sono “fatti” appunto) che occorre dire che non si fanno. In caso contrario il diritto perderebbe la sua stessa ragion d’essere, riducendosi a non essere altro che la voce del fatto compiuto, vale a dire della forza.

Scienza: si può usare “bene” o “male”

Il regno delle “cose di fatto” coincide col regno della forza. È per questo che della scienza, che indaga le forze, si può fare buono o cattivo uso. Ma una morale o una religione della scienza sarà sempre una morale o una religione della forza.

Fateci caso: questa è esattamente la posizione di chi propugna la “regolamentazione” dei fatti sociali più abietti. La vediamo espressa negli slogan menzogneri che ci vengono propinati con cadenza giornaliera. C’è chi abortisce in clandestinità? Non c’è altra soluzione che regolamentare (cioè legalizzare) l’aborto! C’è chi compra figli affittando uteri? Eh là là! L’utero in affitto va regolamentato! C’è chi produce esseri umani in provetta? Allora anche la provetta va regolamentata! Lo avrete notato anche voi: il campionario della “regolamentazione” è sempre in via di aggiornamento; c’è sempre un’ultima “novità” da inserire in catalogo.

È indubbio, la regolamentazione oggi si è fatta sistema, trasformandosi così in una ideologia: il regolamentarismo. Regolamentare tutto, il dogma quasi religioso del regolamentarismo, non significa altro che questo: elevare il fatto a regola, ossia celebrare il primato della forza. Se il fatto diventa la regola, allora è l’uso della forza a essere diventato la regola (ovvero la normalità). Il regolamentarismo è la normalizzazione della forza.

Non deve sorprendere dunque che i partigiani della “regolamentazione” si appellino alla “Scienza” (rigorosamente con la maiuscola) per silenziare i loro avversari. Se tutto per il regolamentarista va visto in termini di forza, allora tutto sarà consentito purché abbia ricevuto l’approvazione della “Scienza”.

Una società dove è la scienza a dettare legge può significare una cosa soltanto: che nella vita pratica resterà spazio solo per rapporti di potere e di dominio. Sarà bene diffidare, allora, di chi vuol convincerci che certe cose si devono fare per forza, perché «Studi scientifici dicono che...».

Andreas Hofer


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