13/07/2015

La teoria gender esiste, anche a scuola: la prova definitiva – parte I

Ultimamente una grande questione divide politici, intellettuali, associazioni e gente comune: l’esistenza della cosiddetta “teoria gender “. E di conseguenza, se sia reale o meno la sua introduzione nelle scuole di ogni ordine e grado.

Gender o no gender, questo è il problema.

I negazionisti del gender sostengono che la famosa “teoria” sia in realtà una invenzione di coloro che pretendono di combatterla. Forse perché questi ultimi interpreterebbero male i cosiddetti “studi di genere”. Forse perché deformerebbero volontariamente certe visioni, attribuendole al variegato mondo LGBT, in modo da avere nemico più facile da combattere e da demonizzare (il noto argomento dell'”uomo di paglia”).

Alcuni si spingono fino a dire che la teoria di genere sarebbe stata creata, per le finalità di cui sopra, in qualche stanza segreta del Vaticano ...

Visto che l’argomento è di grandissimo interesse, è venuto il momento di fare un tentativo di esporre in modo più chiaro possibile le ragioni che stanno dietro alla posizione di chi sostiene l’esistenza della teoria e denuncia il fatto della sua promozione da parte di alcune istituzioni e all’interno di alcune scuole.

Divideremo l’esposizione in tre parti:

  1. Cosa intendiamo con l’espressione “teoria gender”?
  2. Esiste tale teoria (altrove che nella mente di coloro che pretendono di combatterla)? viene promossa da qualche istituzione?
  3. La teoria di genere viene introdotta in qualche modo nelle nostre scuole?

Parte I. Cosa intendiamo con l’espressione “teoria gender”?

Sembra che l’espressione non sia univoca e non sia sempre descritta negli stessi termini anche da coloro che la criticano. Bisogna stare attenti a non semplificare eccessivamente i termini della questione. Ad esempio, dire che “la teoria gender elimina ogni differenza tra maschio e femmina” oppure che per essa “non esiste il sesso ma il genere”, sarebbe semplicistico e impreciso.

Alcuni obiettano, come accennato, che in ogni caso si deve parlare solo di “studi di genere” e non di “teoria” di genere.

In verità, non si capisce il perché di tutta questa avversione per il termine “teoria”. Sarebbe infatti inverosimile ritenere che gli “studiosi” di genere si limitino a “studiare” e non abbiano avanzato nessuna tesi organica, nessun insieme di conclusioni coerente, nessuna (appunto) teoria.

Per il vocabolario Treccani, una “teoria” è una “Formulazione logicamente coerente di un insieme di definizioni, principî e leggi generali che consente di descrivere, interpretare, classificare, spiegare, a varî livelli di generalità, aspetti della realtà naturale e sociale, e delle varie forme di attività umana. In genere le teorie stabiliscono il vocabolario stesso mediante il quale descrivono i fenomeni e gli oggetti indagati ...”.

Altri vocabolari danno definizioni ancora più ampie: “modo di pensare, opinione, pensiero; idea, concezione ...”.

Ora, come vedremo, coloro che coltivano o applicano gli studi di genere formulano una serie di definizioni (“genere”, “identità di genere”, “ruolo di genere”, ecc.), di principi (distinzione tra sesso e genere, derivazione culturale del genere, prevalenza dell’identità di genere, ecc.) che consentono a loro avviso di interpretare aspetti della realtà naturale e sociale e delle attività umane (differenze/disparità tra donne e uomini, discriminazioni di genere, stereotipi di genere, transizioni di genere, ecc.).

Dunque, una teoria, o delle teorie.

Questa teoria o queste teorie, vengono denominate “di genere” (o “gender”, dal termine inglese) perché si basano sulle nozioni di “genere”, come distinto dal sesso biologico, di “identità di genere”, di “ruolo di genere”, ecc. In modo analogo, dal punto di vista linguistico, si parla di teoria “dell’evoluzione” perché si basa sul concetto dell’evoluzione delle specie, o di teoria della “relatività” perché si basa sulla relatività dello spazio/tempo, ecc.

E’ quindi corretto dal punto di vista linguistico, e coerente dal punto di vista logico, parlare di “teoria/teorie di genere”.

Si può riconoscere che non tutti quelli che applicano gli “studi di genere” hanno esattamente la stessa visione su tutte le questioni. Da questo punto di vista sarebbe forse più proprio parlare di “teorie di genere” al plurale.

Nonostante ciò il ricorso all’espressione singolare “teoria di genere” rimane legittimo perché è possibile individuare un “nucleo duro” sotto le diverse prospettive. In modo simile si parla ad esempio di “teoria dell’evoluzione” al singolare, malgrado la indubbia diversità di “teorie” sui meccanismi o sulla storia dell’evoluzione delle specie, poiché alcuni concetti e principi di fondo rimangono gli stessi (ad esempio il fatto e la possibilità della transizione naturalistica da una specie all’altra).

Mutatis mutandis, anche le teorie di genere hanno un fondamento comune: la teoria gender ha il suo “cuore” che giustifica l’utilizzazione dell’espressione al singolare.

La teoria prende le mosse dalla distinzione tra sesso biologico e “genere”. Questa prima distinzione è importante. Infatti il “genere” non ha una derivazione naturale-biologica ma culturale, e si potrebbe definire come un insieme di ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini.

La teoria di genere, anzitutto, riduce drasticamente (fino ad annullare) il peso che ha il sesso biologico nella formazione dei ruoli, comportamenti e attributi che vengono considerati appropriati per uomini e donne. Proprio perché questo insieme di ruoli, comportamenti e attributi costituisce il “genere”, ed esso è un fatto di cultura non di natura. Nelle sue forme più pure, la teoria considera che nessun ruolo, comportamento o aspetto psicologico, considerato tipico degli uomini o delle donne, trovi una base reale nella natura sessuata dell’essere umano.

Il sesso biologico sarebbe (o dovrebbe essere) sostanzialmente indifferente rispetto alla costruzione dell’identità psicologica e del ruolo familiare e sociale di una persona.

Si introduce quindi la definizione di “identità di genere”, cioè la percezione profonda che un soggetto ha di appartenere a un genere piuttosto che a un altro (uomo, donna, o di solito, anche altri), indipendentemente dal proprio sesso biologico. A questa identità di genere (anche questo è un punto essenziale della teoria) si attribuisce una certa prevalenza sul sesso biologico.

BludentalQuesta prevalenza dell’identità di genere sul sesso biologico non è da tutti intesa allo stesso modo: per alcuni (più radicali) sarebbe solo l’identità di genere e non il sesso biologico che permetterebbe di rispondere alla domanda “Sono uomo? Sono donna? (Sono altro?)”. In altre parole basterebbe l’auto-percezione di essere donna/uomo/altro, per essere veramente donna/uomo/altro, anche se il sesso biologico indica il contrario. In questa prospettiva l’identità “transgender” (identità di genere contrastante con il sesso biologico) non viene considerata come intrinsecamente problematica, e infatti molti ne auspicano la depatologizzazione, richiedendo la rimozione della “disforia di genere” dalle classificazioni nazionali e internazionali di patologie.

Per altri invece (forse meno radicali) il contrasto tra identità di genere e sesso biologico rimane un problema, ma questo problema si deve risolvere a beneficio dell’identità di genere. In altre parole, in casi di disforia di genere, il problema non si risolverebbe aiutando la mente a armonizzarsi con la realtà corporale, ma all’opposto modificando il corpo perché si accordi il più possibile con la percezione psicologica. Si tratta in questo caso non tanto della normalizzazione del “transgenderismo” (come nella prima prospettiva) ma della normalizzazione del “transessualismo”. In entrambi i casi però ritroviamo la prevalenza dell’identità di genere sul sesso biologico.

Alcune delle conseguenze immediate di questi principi generali della teoria gender, che si ritrovano sostanzialmente in tutte le sue forme, sono le seguenti:

– essendo il sesso biologico praticamente ininfluente dal punto di vista psicologico e sociale, anche nella società familiare il sesso biologico è indifferente. Infatti proprio l’ambito della famiglia è quello maggiormente toccato dalla teoria gender, in quanto esso rappresenta (secondo una corretta impostazione antropologica e morale) il contesto sociale in cui il sesso biologico ha (e dovrebbe avere) maggiore rilevanza. Secondo la prospettiva gender sarebbe quindi indifferente che la famiglia sia composta da un uomo e da una donna, oppure da due uomini o da due donne.

– in ragione sempre della irrilevanza del sesso biologico rispetto al profilo psicologico e comportamentale, gli orientamenti sessuali avrebbero tutti pari dignità: in particolare l’omosessualità sarebbe normale quanto l’eterosessualità. Infatti queste differiscono secondo l’uguaglianza o diversità di sesso/genere dei soggetti messi in relazione. Ma se la diversità di sesso biologico non produce conseguenze psicologiche o comportamentali rilevanti, allora l’omosessualità non può implicare profili negativi o di anormalità dal punto di vista psicologico o morale. Inoltre la qualificazione dell’orientamento sessuale potrebbe dipendere dal genere percepito dal soggetto. Naturalmente, la normalizzazione o giustificazione del comportamento omosessuale non deriva sempre dalla teoria gender (si potrebbero fondare su altre basi), ma dalla teoria gender deriva sempre la normalizzazione dell’omosessualità (e, spesso, degli orientamenti sessuali più diversi ...).

– i comportamenti e i ruoli tipicamente maschili e femminili sono tendenzialmente tutti considerati “stereotipi”. Qui è bene intendersi: riconosciamo senza problemi che esistono stereotipi negativi che riguardano il maschile e il femminile (ad esempio il modello di uomo e donna della TV e della pubblicità: donna magra, sexy, che vale solo per le sue apparenze fisiche; uomo muscoloso, infedele, ecc.). Il problema è che la teoria di genere, volendo (o pretendendo) di combattere i cattivi stereotipi, finisce per cadere nell’estremo opposto: tutti i ruoli e comportamenti “maschili” e “femminili” sarebbero stereotipi culturali, imposti dalla società o dalla famiglia, da decostruire.

A questo punto comincio già a sentire l’obiezione, l’eterno ritornello: “Tutto questo l’avete inventato voi!”.

In effetti, non ho ancora mostrato che tutta questa teoria viene promossa e applicata per davvero, addirittura da importanti enti ed istituzioni. Forse è un’invenzione di un certo mondo cattolico e pro-life che si crea così un “nemico” facile da combattere.

Non è (purtroppo) così, ed è quanto dimostreremo nella seconda parte ...

Segue la seconda parte: Esiste la teoria gender? Viene promossa da qualche istituzione?

Alessandro Fiore

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