08/10/2017

L’amore è tutto, ma non tutto è amore

Cos’è l’amore?

Il pensiero unico fa sempre più ossessivamente rimbalzare – ormai ovunque – termini volutamente de-contestualizzati e quindi confusi e confusionari, ingredienti perfetti per decostruire realtà basilari per la sussistenza della civiltà, sulla base di fallacie retoriche ad alto impatto emotivo. Si tratta di slogan costruiti ad arte, del tutto inconsistenti alla prima prova di un’analisi logico-linguistica, anche delle più superficiali. Ma con l’avvento dell’epoca del relativismo etico, che cosa importa più?

Così, non interessa più il senso del diritto, che per uscire dallo stato originario di natura in cui il più forte prevale sul più debole (homo homini lupus, per ricordare una formula cara a Hobbes) affonda fin dall’inizio le sue radici nel rispetto del prossimo e delle esigenze dei più deboli per garantire a tutti un pieno sviluppo e un’autentica libertà, socialmente condivisi. Non importa di conseguenza il destino dei più piccoli, sempre più spesso ridotti a merce da compravendita, brutal- mente deprivati del padre e/o della madre, resi orfani ancor prima di nascere, col solo scopo di compiacere a qualche coppia di adulti benestanti (che si possono permettere appunto un “utero in affitto”, anche se come da regola del mercato i prezzi si stanno abbassando): figuriamoci quindi se a qualcuno interessa la correttezza della comunicazione linguistica e l’onestà intellettuale, oltre che morale, che la determina.

«L’amore è un sentimento universale che non ha sesso né età e va riconosciuto – anche giuridicamente – a tutti», «I bambini hanno bisogno di qualcuno che li ami, non necessariamente di un padre e di una madre» oppure, ancora più banalmente, «Love is love!», ci sentiamo ripetere.

Certo. Io posso amare persone, animali, cose, o anche attività. Amo mia moglie: ma non è lo stesso tipo di amore che provo per i figli. Amo i miei genitori: ancora è una tipologia di amore diversa da quella per l’amico del cuore. Amo suonare la chitarra, ma non è la stessa cosa dell’amore per il mio lavoro: e così via.

A parte l’ovvia (anche se oggi non più scontata) osservazione che l’amore è condizione necessaria ma non sufficiente per una crescita armoniosa e serena di un bambino, è mai possibile che sia “tutto amore”?

Quando si proclama il diritto al matrimonio (e quindi all’adozione) per persone dello stesso sesso, si intende affermare che l’amore di queste coppie (ontologicamente impossibilitate alla generazione e alla cooperazione per la sussistenza della società umana) è lo stesso amore delle coppie naturali (ontologicamente aperte alla generazione e quindi alla vita).

Siamo forse arrivati così in fretta al capolinea, nell’era del pan-logismo, dove tutto va bene, tutto ha una sua ragione superficiale pronta a giustificare ogni aberrazione, e di conseguenza nell’era del pan- erotismo, dove ogni ente, idea, fatto, merita indistintamente di essere “amato” (nel senso di posseduto), per il solo fatto di esserci? Abbiamo perso il senso e il significato del termine “amore”.

Sembra strano, ma le cose stanno così. Proprio oggi, nell’epoca in cui l’amore sembra regnare sovrano e coprire col suo manto dolciastro tutto e tutti, occhi e cervelli compresi, abbiamo dimenticato che anche il termine “amore” è un pollachòs legòme – non per usare un’espressione aristotelica: si dice in molti modi ed ha significati molto diversi tra loro. A volte perfino opposti.

L’amore non era un sentimento universale, che tutto giustifica e tutto confonde, per i Greci, che come sempre, hanno ancora molto da insegnarci. Per i fondatori della civiltà non c’è, infatti, un solo “amore”: bisogna distinguere, specificare. A meno che – come accade alla nostra “civiltà occidentale” – non si decida consapevolmente di fare confusione logico-linguistica. Per parlare d’amore avevano, infatti, almeno i seguenti termini:

1) Agape (αγάπη): è amore di ragione, incondizionato, oblativo, an- che non ricambiato, spesso con riferimenti religiosi: per esempio è il termine per indicare l’amore più usato nei Vangeli.

2) Philia (φιλία): è l’amore di affetto e piacere, di cui ci si aspetta un ritorno, ad esempio tra amici.

3) Eros (έρως): termine che definisce l’amore sessuale, ma non solo. Deriva da Ёραμαι” (eramai) che vuol dire “amare ardentemente”, “bramare”. Il termine Ёρος non si riferisce necessariamente a una persona. Per esempio, “Ёρος πόσιος καί εδήτυος” (eros pòsios kài edètuos) significa “desiderio di bere e di mangiare”, e non “amore passionale del mangiare”: il verbo Ёραμαι da cui deriva il termine Ёρος può anche riferirsi a enti astratti, come per esempio la brama di conoscere.

4) Anteros (αντέρως): quando l’amore è corrisposto, quando c’è un legame.

5) Himeros (Iμερος): “desiderio irrefrenabile”: la passione del momento, il desiderio fisico presente e immediato che chiede di essere soddisfatto.

6) Pothos (Πόθος): termine che è il desiderio verso cui tendiamo, ciò che sogniamo, alla base della nostra intenzionalità.

7) Strgé (στοργή): l’amore parentale-familiare, viene dal verbo Στέργω (stergo) che si- gnifica “amare teneramente” e viene usato soprattutto in riferi- mento all’amore filiale, è l’amore d’appartenenza, ad esempio tra parenti e consanguinei. Designa l’affetto naturale fra parenti intimi e specialmente fra i genitori e i loro figli, ma anche tra fratelli e sorelle.

8) Thélema (θέλημα) indica l’amore per quel che si fa, è il piacere di fare, il desiderio voler fare. Altro che “love is love”.

Ora, a parte il fatto che ciascun essere umano, quindi ciascun bambino, ha diritto al padre e alla madre, ad una famiglia vera, come recita anche la Dichiarazione Universale dei diritti del bambino (art. 7), a quale dei significati che abbiamo elencato potrebbe aderire il preteso sentimento di amore di due adulti che costituiscono una coppia dello stesso sesso e pretendono poi inserire in questo contesto a forza, col potere del denaro, un bambino generato altrove, attraverso tecniche di laboratorio, reso volontariamente orfano di padre e/o di madre fin dal concepimento, al quale verrà poi negato per sempre il diritto stesso di avere il proprio padre e/o la propria madre e di vivere in una famiglia normale?

La risposta viene come sempre dall’evidenza. Questa volta, ottimamente riassunta dall’esperienza di una madre. Da una mamma vera, da uno di quei genitori che darebbero la vita per il bene dei figli, all’istante, senza se e senza ma, e mai e poi mai si sognerebbero di chiamare amore quello che è solamente un mostruoso atto di egoismo: «Se tu che dici di amarmi mi hai tolto volutamente un padre e una madre, hai scelto di strapparmi dalle mie origini, di farmi vivere una non realtà (non esistono due mamme e non esistono due papà), hai scelto di fare nei miei confronti uno dei peggiori atti di bullismo e di menzogna che potrò subire nella mia vita» (Katia Giardiello).

Ma, tanto, “loveislove”, vero?

Alessandro Benigni

Fonte: L’articolo è stato pubblicato su Notizie ProVita, giugno 2015, pp. 28.29


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