05/09/2017

Lo stupro dell’accoglienza. La Ciociara, settant’anni dopo

In questi giorni si parla molto di accoglienza, immigrazione, Ius Soli ma anche dello stupro (meglio: stupri) a opera di persone straniere. Ecco alcune riflessioni. 

La Ciociara:  storia di uno stupro collettivo

Il romanzo La Ciociara di Alberto Moravia, da cui Vittorio De Sica e Cesare Zavattini trassero il soggetto del film che nel ‘62 vinse l’Oscar per la migliore attrice protagonista (Sofia Loren) e il Golden Globe, fu pubblicato nel 1957. Moravia aveva però cominciato a lavorarvi fin dal ’46, sulla base di memorie autobiografiche.

Esso racconta di una mamma e di una giovane figlia, sfollate durante la guerra in Ciociaria, che finiscono vittime di uno stupro.

Siamo nei giorni immediatamente successivi lo sfondamento della linea Gustav (la linea passante per Montecassino in cui erano attestati gli Alleati fra il 1943 e la primavera del ‘44), nei luoghi, in cui avvennero quelle che, con un termine storiografico preso direttamente dal linguaggio popolare, sono dette “marocchinate”.

La_ciociara_ stuproSfondata la linea, i “Goumiers”, le truppe di spedizione francese, composte prevalentemente da marocchini, algerini, tunisini e senegalesi, ebbero una sorta di “via libera” da parte dei comandi e, in preda a sfrenata esaltazione sessuale, si resero artefici di brutalità sulla popolazione civile. Moltissime donne, ragazze e bambine rimasero vittime di uno stupro, spesso ripetutamente, spesso sotto gli occhi dei loro genitori e mariti, costretti con la forza ad assistere.

Le cifre degli stupri non sono state mai precise, ma ebbero carattere di massa. Si parla, sulla base delle richieste di indennizzo, di circa 60.000 donne. Molte di queste si suicidarono, molte rimasero affette da malattie come la sifilide o la blenorragia. Migliaia furono gli omicidi di chi osò difendere l’onore delle donne, moltissimi gli aborti e numerosi i casi di infanticidi di bambini nati dagli stupri. Lo scrittore Norman Lewis, allora ufficiale inglese al fronte, così scrisse nel suo Napoli ‘44: «Tutte le donne di Patrica, Pofi, Isoletta, Supino, e Morolo sono state violentate... A Lenola il 21 maggio hanno stuprato cinquanta donne, e siccome non ce n’erano abbastanza per tutti hanno violentato anche i bambini e i vecchi. I marocchini di solito aggrediscono le donne in due – uno ha un rapporto normale, mentre l’altro la sodomizza».

Lo stupro dell’accoglienza

«La violenza contro le donne non conosce confini geografici, culturali o di stato sociale» (lo dichiarò l’ex Segretario generale dell’ONU, Kofi Annan), ma è un dato di fatto che si sta delineando una correlazione fra l’esodo immigratorio e l’aumento delle violenze sessuali.

Da un’indagine di Demoskopika, svolta elaborando dati del Viminale, risulta che «nel quinquennio 2010-2014, il 39 per cento delle violenze sessuali in Italia è stato compiuto da stranieri». E il fenomeno lo si riscontra in tutti i paesi che hanno adottato politiche di accoglienza massiccia: Germania, Svezia, Finlandia etc.. In Germania, ad esempio, nel 2016 il numero dei reati a sfondo sessuale compiuti da stranieri è aumentato del 102% (fonte: Rapporto annuale sulla “Criminalità nell’ambito della migrazione” della Polizia Federale tedesca [BKA] – 27 Aprile 2017). Negli ultimi quattro anni l’aumento è stato del 500%.

Il fenomeno pare legato a fattori fisiologici e culturali:

  • fisiologici, in ragione dell’enorme numero di uomini giovani e soli (in Italia l’89% del totale dei 500000 degli ultimi 3 anni) accolti per essere ricollocati nello stato poco dignitoso di mantenuti nei centri e, infine, abbondonati ad una sorta di randagismo per le strade delle nostre città e paesi;
  • culturali, per la diversa considerazione della donna di cui sono portatori questi immigrati.

«Per la loro cultura stuprare una donna cristiana non è un problema», ha dichiarato in un’intervista (La nuova bussola quotidiana del 30-08-2017) Souad Sbai, giornalista ed ex parlamentare italiana, di origine marocchina, presidente di Acmid, associazione delle donne marocchine in Italia, impegnata nella difesa e nell’aiuto alle donne immigrate vittime di violenza. «Anzitutto bisogna capire – ha aggiunto – che vengono da una educazione per cui sulla donna occidentale si può fare. Glielo insegnano da piccoli: stuprare una donna cristiana non è un problema. Poi arrivano in un paese dove la donna si presenta in modo molto diverso (…). Se la donna è in costume o ha la minigonna non significa che si possono fare certe cose. Poi purtroppo oltre a questo bisogna riconoscere che non c’è più pudore, c’è molta pornografia, anche i siti più seri hanno pubblicità oscene. E questo manda altri segnali che aggravano il problema». Uno sconvolgente post (a commento dello stupro di Rimini) di Abid Jee, mediatore culturale in una cooperativa sociale bolognese per la gestione e l’accoglienza dei migranti, nonché studente di giurisprudenza, offre un immediato riscontro di quanto sopra: «Lo stupro è un atto peggio, ma solo all’inizio, una volta si entra il pisello poi la donna diventa calma e si gode come un rapporto sessuale normale».

In tutto questo si misura l’irresponsabilità dell’etica delle buone intenzioni dei cosiddetti buonisti, che predicano l’accoglienza indiscriminata, senza che ad essa corrisponda una reale sostenibilità, che si fermano alla postulazione di un diritto, senza però farsi carico di soluzioni concrete, ritenendo, anzi, di essere esonerati dal farlo. Ha affermato sempre la Sbai, «è criminale lasciare uomini così. O vengono rimandati a casa o comunque non si possono tenere nei centri di accoglienza a fare nulla, liberi di andare in giro e fare qualsiasi cosa».

C’è, infine, da considerare che garantire ai propri cittadini la sicurezza e la legalità non è un optional, ma «un dovere preciso di uno stato democratico e civile» (così mons. Bagnasco, ex presidente della Cei, intervistato da Avvenire il 12-6-2015). E proprio nelle zone d’ombra del nostro sistema politico, là dove la retorica dell’accoglienza si trasforma in business, nei provvedimenti indultivi, nell’ipergarantismo dei giudici, si insinua un cancro che mina direttamente la democrazia.

Un passato che ritorna

Non che le violenze sessuali siano addebitabili ad una cultura o, peggio ancora, a una religione, ma c’è qualcosa di quel passato ricordato prima che tristemente sembra ritornare oggi. Infatti, nelle modalità con cui queste violenze sono state perpetrate, nel fatto, ad esempio, che ne siano state oggetto anche donne anziane (settantenni, ottantenni), c’è qualcosa che va al di là dello stupro, per così dire, “ordinario”, ammesso che si possa usare tale termine. È un odio accreditato dal pregiudizio, che si alimenta ad una sorta di diritto di prevaricazione, qualcosa che a noi occidentali ricorda il nazismo, ma che forse ha radici più antiche ed inveterate. È un odio che uccide ogni possibile idea di convivenza, di dialogo, di incontro, perché stupra le coscienze.

Ne La Ciociara Moravia faceva dire a Cesira, la protagonista: «Uno dei peggiori effetti delle guerre è di rendere insensibili, di indurire il cuore, di ammazzare la pietà». Ebbene, c’è qui quella stessa efferata cecità, che si origina dal risentimento covato, dall’emarginazione, che si alimenta alla complicità di branco e all’omertà, in base alla quale si può scambiare la dissolutezza del dominio per aspirazione all’amore.

Lo confermano tristemente i fatti di Colonia del capodanno del 2016, quando decine di donne furono aggredite sessualmente in poche ore nella zona centrale della città, fra il Duomo e la stazione.

Secondo quanto riferito dalle autorità, alcune centinaia di uomini giovani, ubriachi, aggressivi e dall’aspetto di origine araba o nordafricana, radunati nella piazza e divisi in gruppi più piccoli, hanno circondato, insultato e molestato le donne. Katja L., di 28 anni, raccontò di essere stata costretta a camminare attraverso un corridoio umano formato da decine di uomini che la molestavano: «Ho sentito una mano sul sedere, poi sul seno. Sono stata toccata ovunque, è stato un incubo. Anche se ho gridato e li ho colpiti, i ragazzi non si sono fermati. Ero disperata e penso di essere stata palpeggiata circa cento volte in duecento metri. Per fortuna indossavo una giacca e dei pantaloni. Una gonna probabilmente mi sarebbe stata strappata via».

Clemente Sparaco


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