18/07/2013

Ma la cosa più grande è l’amore: ecco cosa mi ha insegnato mia nonna. Un’esistenza pro-life

Ci sono tantissime cose che dobbiamo insegnare alle generazioni future in relazione alla causa pro-life. La scienza, la verità riguardo a ciò che l’aborto comporta per la madre, il dolore del feto, la capacità di comunicazione di cui abbiamo bisogno per difendere al meglio la posizione pro-life... la lista è infinita! Però capita che ci perdiamo nel mare di informazioni, di ragionamenti e di articoli accademici e che non riusciamo a trasmettere la cosa più importante, essenziale: l’amore!

Perché darsi pena del fatto che l’aborto ferisce le donne? Perchè amiamo queste madri e per noi tutto quello che gli succede è importante. Perché ci importa che il bambino abortito senta dolore? Perché amiamo l’individuo non nato, che soffre. Perché ci serve che la scienza dimostri la natura umana dei feti? Perchè amiamo la vita e la riteniamo importante. È necessario trasmettere tutte queste conoscenze alle generazioni future, ma lo dobbiamo fare, sempre e comunque, insegnando ai nostri figli ad amare. A volte un fatto vale più di mille parole e proprio la persona più modesta può diventare una paladina per la difesa della vita.

Ho avuto il privilegio di frequentare molte conferenze pro-life, di tenere dibattiti per la causa pro-life, di testimoniare davanti ad assemblee legislative e di lavorare “sul campo” per ministri e leader; ciononostante ho imparato di più da un “nessuno”, da una donna che, nella sua vita modesta e silenziosa, ha tramandato convinzioni e verità dalle quali non sarei riuscita a scappare anche a volerlo.

Mia nonna ha vissuto tra molte difficoltà, come per esempio il fatto che il suo fidanzato combatté durante la II Guerra Mondiale e rimase ferito. Quando lui fece ritorno a casa e si ristabilì, si sposarono nel giro di poco tempo, ancora anni prima che mio nonno poté finire il college, che aveva trascurato per via della guerra. Per pagare le bollette faceva l’autista di scuolabus; era uno dei pochi lavori che gli permetteva di frequentare anche il college, ma il salario era piuttosto basso, quindi dire che la gravidanza a sorpresa di mia nonna, quella che poi fece nascere mio zio appena dieci mesi dopo il matrimonio, arrivava in un “momento sbagliato” è veramente dire poco! I miei nonni non avevano una casa di proprietà e avevano a malapena abbastanza soldi per comprare da mangiare; ancora mi ricordo che mia nonna mi raccontava di come capitasse che lei e il nonno mangiassero solamente zucca o piselli per cena, perché altrimenti non avrebbero avuto abbastanza soldi per dare da mangiare al bambino. Nonostante tutto lei amava. Nonostante tutto la vita di suo figlio fu un dono. La sua vita contava di più dei soldi, più dei loro programmi, più della loro comodità. Lo stesso si può dire per il suo secondo figlio, nato poco dopo. Mia nonna mi ha insegnato che i figli non sempre arrivano nel momento migliore, quello più conveniente, ma che meritano sempre, sempre il nostro amore e mi ha insegnato che fare sacrifici per dare la vita ha un grande valore.
Quando mio padre andava all’asilo mio nonno era diventato un ingegnere elettrico; avevano una casa e la loro vita era decisamente più facile. Quindi i miei nonni fecero il passo successivo, per loro del tutto naturale: aprirono i loro cuori agli orfani della loro città prendendo bambini in affidamento. Durante gli anni successivi, più di 30 bambini trovarono un rifugio nelle braccia di mia nonna. Mio padre e gli zii fecero tutto quello che fanno di solito i ragazzini: giocavano a baseball, andavano a pescare, frequentavano la scuola.. in più impararono a cambiare pannolini, a dar da mangiare ai bambini, e a considerare come prezioso ogni piccolo individuo che entrava dalla loro porta. Mia nonna ha trasmesso ai suoi tre figli l’eredità di una vita piena di amore, nel senso più profondo e anche pratico, eredità che a loro volta hanno passato ai loro figli, e tutti possiedono quel “tocco magico” con i più piccoli. Mia nonna mi ha insegnato che i miei talenti sono spesi al meglio quando amiamo gli altri, specialmente i più deboli, e quando proviamo la gioia più grande a metterci al servizio degli altri.

Nel suo cuore c’era un posto speciale riservato a bambini con necessità particolari, e sono proprio queste le memorie che mi sono rimaste più forti e nitide ancora oggi. Un giovane uomo, più vecchio di me di alcuni anni, era un suo amico speciale. Clark era nato da una delle migliori amiche di mia nonna e fu una gravidanza inaspettata, arrivata molto in là con gli anni e accompagnata dalla diagnosi “sindrome di Down”. Proprio il tipo di bambini che il 90% delle famiglie sceglie di non far nascere. Mia nonna aveva un affetto speciale per Clark e lo amava profondamente. Insieme a mio nonno si occupavano di lui regolarmente, di giorno e persino di notte, per permettere ai suoi genitori di andare di tanto in tanto in vacanza o di fare una gita, e non si sono tirati indietro nemmeno quando mia nonna ha dovuto imparare a usare cose come le bombole d’ossigeno e comunicare con un ragazzo che difficilmente parlava. Clark aveva un carattere non propenso per gli abbracci o l’affetto fisico e preferiva mantenere uno spazio personale ben definito, ma quando era con mia nonna cambiava completamente ed era magnifico assistere alla gioia che entrambi mostravano quando si incontravano. Abbondavano gli abbracci! Tra i primi miei ricordi c’è mia nonna che mi insegna come giocare con Clark, cosa gli piaceva fare, la pazienza che bisognava avere con le sue limitazioni, il perdono per la sua aggressività occasionale e l’amore e l’affetto per le persone e per le loro differenze. Mia nonna mi ha insegnato che anche il 90% di quei bambini con la sindrome di Down che non ricevono la vita sono dei tesori immensi.
Karen era un altro tesoro speciale per mia nonna. È nata in condizioni che l’hanno lasciata con un serio danno al cervello; non poteva controllare i suoi movimenti o la sua voce ed è rimasta come in uno stato infantile. Era proprio il genere di bambina per i cui i dottori avrebbero detto che avrebbe avuto una bassa “qualità della vita”, che probabilmente non poteva “capire”  e che sicuramente sarebbe stata un “peso” per la società. Poi un giorno, mentre aiutavo mia nonna a tenere i bambini in chiesa, ci portarono anche Karen, così che badassimo a lei mentre i genitori seguivano la messa. Mia nonna non andò dal bambino in salute, quasi da foto, che stava seduto in terra a giocare. Andò da Karen, ormai quasi un’adolescente, sdraiata su un pouff, che emetteva suoni a caso, con gli arti contratti e storti, che muoveva la testa senza avere una direzione precisa. Si è inginocchiata, nonostante le sue ginocchia doloranti per l’artrite, ha preso Karen e l’ha tenuta stretta, chiamandola per nome e chiedendole di dare alla nonna “quel bellissimo sorriso”. Ancora oggi, decenni dopo, penso che sia una delle cose più belle che ho mai visto.
Mia nonna emanava amore. Ho visto lo stesso amore nei miei confronti e nei confronti di Karen. Non era una pietà condiscendente, quella che un superiore dà a una persona che ritiene inferiore, ma un amore pieno di gioia, puro e assoluto. Il modo con cui un’anima umana custodisce con affetto un’altra. Karen aveva valore, era un dono senza prezzo. Era importante per mia nonna. E mentre mia nonna si inginocchiava lì davanti chiamando Karen per nome, la ragazzina che “non poteva reagire”, e che “non si poteva muovere volontariamente”, si è girata verso la voce di mia nonna e si è aperta in uno stupendo sorriso di gioia. La ragazzina che “non poteva essere raggiunta dall’esterno” ha reagito a una cosa: l’amore. Mia nonna mia ha insegnato che qualsiasi malattia o handicap, anche i più gravi, non sono mai insensibili all’amore.

Poi ho cominciato ad apprendere la lezione più dolce e amara allo stesso tempo: la gioia di servire colui che è sempre stato il servitore. L’Alzheimer ha cominciato a dare i primi segni, e le vertebre in deterioramento davano a mia nonna continui dolori. É riuscita a venire al mio matrimonio, ma appena qualche settimana dopo ha avuto un problema embolico che ha notevolmente accelerato la demenza. Ho avuto il privilegio di sederle accanto in ospedale e di passare le notti su quelle orrende sedie pieghevoli, e ho visto cosa è diventata mia nonna quando la malattia le ha tolto quasi tutto. Sussurrava le parole dei suoi canti preferiti prima di addormentarsi. Con forza cantava “Gesù mi ama” con un entusiasmo che non avevo mai visto prima. “Cuciva vestiti” per la sua famiglia, convinta che le lenzuola dell’ospedale fossero scampi di tessuto. Cucinava con utensili e cibo immaginario e chiedeva instancabilmente dei suoi figli e nipoti, spesso non rendendosi conto che erano proprio lì, con lei. Quando la malattia non le aveva lasciato più niente, mia nonna continuava ad amare e servire.
Appena due anni dopo ho avuto la gioia di darle in braccio il mio primo figlio, grande solo alcune settimane. Con sorpresa le guardavo le mani, di solito tremolanti, che cullavano mio figlio senza tremare, persino mentre dormiva. Quando faceva confusione lei lo calmava istintivamente e gli dava una carezza, anche se per anni i suoi movimenti erano stati goffi e incerti. Quando mi sussurrava “quant’è dolce..”, la sua voce tornava ad avere quell’intonazione con cui sono cresciuta, e quando le chiedevo “che cosa stai pensando?”, rispondeva alla domanda, anche se negli ultimi anni raramente avevo ottenuto una risposta. “Quel bambino!” le avevo raccontato del suo diciassettesimo bis-nipote, nato poco dopo mio figlio, che avrebbe incontrato dopo poche settimane. “Due bambini? Sarò così felice che non saprò da che parte guardare!” Si ricordava di poche cose e parlava poco, ma il suo amore per i più piccoli esseri umani era una parte così forte di lei, che le è rimasta dentro anche quando tutto il resto era svanito via.
Nemmeno due settimane dopo ha avuto un ictus che ha messo fine alla sua vita, e mentre stavo seduta per l’ultima volta accanto al suo letto in ospedale, mi sono resa conto che avevo imparato da mia nonna le ultime lezioni. Lezioni che non mi sarebbero mai state insegnate se persone come Peter Singer  avessero fatto a modo loro, e l’eutanasia fosse diventata il destino degli anziani o degli ammalati. Ho imparato quanto è bello servire. Ho imparato a chiedermi costantemente, cosa mi rimarrà quando tutto il resto mi sarà strappato via? Riuscirò a creare un modello di comportamento pieno di amore per gli altri, che rimarrà quando non ci sarà quasi più nient’altro? Riuscirà l’amore ad essere così profondamente radicato in me da rimanere fino alla fine?
E di nuovo mi sono resa conto di una cosa: che è questo quello che ha bisogno di vedere la prossima generazione. È questo che sostiene e rende preziosa la lotta per la vita. L’amore per le madri in crisi, l’amore per i bambini non nati che sono arrivati “nel momento peggiore”, l’amore per i piccoli con bisogni speciali, l’amore che vede il valore dei bambini considerati “irraggiungibili”. L’amore che è così radicato, così profondamente legato a noi, che quando non ci rimarrà nient’altro, l’amore continuerà ad esserci.
Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità! (1 Corinzi 13,13)

Traduzione a cura di Milena Cosso

Clicca qui per leggere l’articolo originale pubblicato da LifeSiteNews in lingua inglese

di Rachael Denhollander

banner loscriptorium

Questo articolo e tutte le attività di Pro Vita & Famiglia Onlus sono possibili solo grazie all'aiuto di chi ha a cuore la Vita, la Famiglia e la sana Educazione dei giovani. Per favore sostieni la nostra missione: fai ora una donazione a Pro Vita & Famiglia Onlus tramite Carta o Paypal oppure con bonifico bancario o bollettino postale. Aiutaci anche con il tuo 5 per mille: nella dichiarazione dei redditi firma e scrivi il codice fiscale 94040860226.