28/02/2014

Malati «rari», non persone da buttare via

Essere affetti da una patologia rara, non riconosciuta, o difficile da diagnosticare e doversi barcamenare alla ricerca di centri specializzati, medici informati e formati che sappiano individuare il giusto percorso terapeutico, e intanto sentirsi diversi, senza speranza, soli. In Italia, da un calcolo fatto nel 2013 dal progetto Orphanet, sono circa un milione e mezzo le persone affette da malattie rare. Eppure, come risulta dai dati diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità, sono solo 110mila i casi di malattia rara riconosciuta e segnalati e riguardano appena 485 patologie, su circa 6mila malattie rare. Una discrepanza enorme che non scoraggia le associazioni di malati: domani (oggi n.d.r), in occasione della VII Giornata mondiale delle malattie rare sul tema «Uniti per un’assistenza migliore», presenteranno infatti alle istituzioni un documento con proposte concrete da inserire nel prossimo Patto della Salute.
«Dobbiamo trovare strategie capaci di migliorare la qualità della vita delle persone e di soddisfare i propri bisogni all’interno di un sistema», spiega Renza Barbon Galluppi, presidente di Uniamo. Il primo vero ostacolo in questi casi è innanzitutto la diagnosi. «Considerata la complessità e la rarità delle patologie – denuncia Barbon – è necessario potersi affidare a medici che abbiano gli strumenti e le competenze per il percorso diagnostico».
Una rete nazionale per le malattie rare è regolamentata dal decreto ministeriale n. 279 del 2001. Purtroppo però, la possibilità di curarsi in modo appropriato varia da nord a sud. «I centri di eccellenza funzionano in parte – rimarca Barbon –, dipende dall’investimento e dall’interesse delle singole Regioni. Soprattutto manca un organo centrale per l’indirizzo e il controllo». Tra l’altro, le malattie rare richiedono un approccio multidisciplinare.
Secondo il Registro dell’Iss, il gruppo di patologie più segnalato (26%) riguarda le malattie del sistema nervoso e degli organi di senso. Seguono poi le malformazioni congenite (19,7%), le malattie delle ghiandole endocrine, della nutrizione, del metabolismo e i difetti immunitari (17,4%), le malattie del sangue e degli organi ematopoietici (16,6%). Il 20,5% dei casi interessa poi pazienti in età pediatrica (0-14 anni). Per tutti la speranza resta legata alla ricerca. «Negli ultimi 3-4 anni – sottolinea Giuseppe Zampino, responsabile dell’Unità operativa interdipartimentale Centro malattie rare e difetti congeniti del Gemelli – sono stati scoperti una quantità di geni pari a quelli individuati nei 20-30 anni precedenti.
È anche aumentata la sensibilità politica nei confronti delle malattie rare e questo ha reso possibile la costituzione di network internazionali di ricerca, di definire meglio le caratteristiche genetiche cliniche dei diversi pazienti e di poter fare degli studi anche farmacologici». L’impegno degli scienziati è rivolto ora verso «una ricerca biomedica, che permetta di trovare per esempio un farmaco che normalizzi la situazione, e una ricerca di tipo sociosanitario, per fare in modo che il paziente abbia la miglior vita possibile». Senza dimenticare poi che «il 30% dei malati rari – spiega Zampino – non ha una diagnosi riconosciuta e sono proprio loro i più soli».
D’altro canto, anche l’industria farmaceutica potrebbe giocare un ruolo non secondario. «Le malattie rare – precisa Maria Luisa Brandi, presidente della fondazione Firmo – dovrebbero essere usate come modello di sviluppo per farmaci per le malattie frequenti. Attraverso di esse comprendiamo infatti tanti meccanismi di azione, facciamo scoperte che servono alle patologie più frequenti».
Spiragli di speranza arrivano intanto dal lavoro dei ricercatori. «Recentemente – prosegue con soddisfazione Brandi – ci stiamo occupando dell’ipofosfatasia, una malattia rarissima che riguarda un caso su 100mila nati. Il 50% dei bambini li perdiamo nei primi anni di vita. Abbiano però scoperto una terapia, un enzima che va a sostituire la fosfatasi alcalina ossea, con una risposta molto importante».

di Graziella Melina

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