28/02/2015

Matrimonio: un salto nel buio che porta la felicità

Viviamo in una società nella quale il matrimonio viene concepito come una scelta temeraria, adatta a pochi.

Se poi si nutre anche la convinzione che il suddetto matrimonio duri per tutta la vita, allora il numero di persone che accettano di correre questo rischio sono ancora meno.

A conferma di quanto detto, è sufficiente scorrere i dati dell’Istat relativi al 2013, anno durante il quale il numero dei matrimoni è per la prima volta sceso sotto quota duecentomila: le celebrazioni sono infatti state ben 13.081 in meno rispetto all’anno precedente. In ogni caso, questo trend negativo delle celebrazioni matrimoniali non costituisce certamente una novità, dal momento che negli ultimi cinque anni è stato registrato un calo delle nozze del 30%.

Questo è dunque il quadro socio-culturale con cui chi ancora crede nel valore del matrimonio e della famiglia è chiamato a confrontarsi. E lo può fare essenzialmente in due modi: uno più pessimista e uno più speranzoso.

Il primo modo di approcciarsi è proprio di chi si limita alla constatazione del dato di fatto, concepito quasi come inevitabile: l’istituto matrimoniale oggi è in crisi e nessuno ha più voglia di impegnarsi seriamente in un rapporto, perché questo implica una buona dose di maturità (individuale e di coppia) e una fatica cui spesso non si è più abituati.

Tuttavia vi è anche chi, seppur in mezzo alle macerie, ha ancora un atteggiamento speranzoso e pro-positivo, saldo nella consapevolezza che il matrimonio, e la famiglia che ne consegue, è l’unica soluzione possibile per rilanciare la società.

Tra questi vi è lo psicologo e psicoterapeuta Roberto Marchesini, autore del recentissimo E vissero felici e contenti – Manuale di sopravvivenza per fidanzati e giovani sposi (SugarCo Edizioni, 2015). Ricco di tanti suggerimenti pratici desunti dalla sua esperienza clinica con coppie in crisi, il libro di Marchesini infonde speranza ed è la prova concreta che passare tutta la vita con la stessa persona è possibile e, anzi, può anche essere bello. Naturalmente questo dono di sé disinteressato e gratuito è impegnativo, ma è una predisposizione che asseconda la natura umana. Infatti, è solo nell’amore che l’uomo può trovare veramente se stesso e conseguire la felicità.

Amare è un mix di sentimento, ragione e volontà che si concretizza nel “volere più il bene dell’altro che il proprio” (p. 35). “Ci si sposa – scrive Marchesini – per dare, per darsi. Se ci si sposa per ricevere, inevitabilmente il matrimonio diventerà una «partita doppia»: dare-avere. Altrettanto inevitabilmente verrà il giorno in cui ci si accorgerà di non ricevere quanto si dà, o di non ricevere quanto ci saremmo aspettati nel giorno del nostro matrimonio” (p. 32).

In estrema sintesi, gli “ingredienti” che l’Autore suggerisce per far sì che un matrimonio funzioni sono: soddisfare il proprio coniuge prima di se stessi; superare il sentimento, di per sé buono, lavorando sulla volontà di amare e impegnandosi per la buona riuscita del proprio matrimonio; accettare che il proprio coniuge è una persona differente da sé e – soprattutto! – che appartiene al sesso opposto, con tutta la ricchezza e la fatica che questa differenza comporta; abituarsi a vedere nel coniuge il proprio alleato, e non una persona da cui difendersi; imparare ad aprirsi, verbalizzando i propri pensieri, i propri desideri e i propri sentimenti, senza aspettare che sia l’altro a dedurre tutto; prendersi del tempo per curare la casa e per occuparsi di sé, per poter poi essere più presenti nel rapporto di coppia; infine, la regola aurea che suggerisce di evitare di intromettersi nei rapporti familiari del coniuge.

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Le indicazioni fornite da Marchesini, in questa sede necessariamente ridotte a poche righe, sono “una sorsata di acqua limpida: poche cose, dette stupendamente, convincenti al massimo, semplici da memorizzare. Funziona” (A. Brugnoli, p. 15).

Giulia Tanel

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