18/10/2015

Neolingua : un problema bioetico

« Non capisci che lo scopo principale della neolingua è quello di restringere al massimo la sfera di azione del pensiero? »: così scriveva George Orwell nel suo romanzo “1984” per esprimere l’idea che qualunque fenomeno totalitario, proprio in quanto tale, si impossessa di ogni dimensione dell’esistenza, non esclusa quella del linguaggio.

Il linguaggio, anzi, viene assoggettato, plasmato e forgiato ad immagine e somiglianza dell’ideologia che se ne serve.

L’ideologia imperante attualmente è una ideologia subdola, che si infiltra nelle coscienze e nelle menti di tutti in modo silenzioso, strisciante, impercettibile: cioè l’idea per la quale non esiste una verità, o che, se ne esiste una, è sostanzialmente inaccessibile.

E’ un nichilismo ancora più radicale di quello scettico degli antichi greci, di un Gorgia da Lentini per esempio.

E’ un nichilismo ottimizzato e più efficiente, meccanico, che utilizza perfino il linguaggio rimodellandolo in modo tale da nascondere la realtà, utilizzando sofisticamente e sofisticatamente le parole come cortina nebbiogena per celare i concetti e la verità.

Vengono così utilizzate tutta una serie di locuzioni appositamente create per addolcire la crudezza della realtà non solo e non tanto per renderla accettabile a coloro i quali non vorrebbero o potrebbero accettarla in nome del proprio orientamento etico o religioso, ma precipuamente diffusa per modificare la realtà stessa, alterandola.

In questa prospettiva, mamma e papà sono ridenominati come “genitore 1” e “genitore 2”, l’embrione diviene un mero “gruppo di cellule”, o “prodotto del concepimento”, l’aborto diventa una semplice “IVG” o “interruzione volontaria di gravidanza”, l’utero in affitto una altruistica ed ammirevole “gestazione per altri”, l’eutanasia una asettica “interruzione volontaria della sopravvivenza”, o “suicidio assistito”. I venditori di gameti sono chiamati da tutti “donatori”.

Se nella fantasia orwelliana, il futuro garantirà che « non ci sarà più differenza fra il bello e il brutto », nel rimescolamento delle parole e dei concetti in corso in questi anni, in cui l’abilità lessicale tenta di rodere dall’interno la struttura stessa della realtà, non si possono più distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, il vero dal falso.

In poche parole, proprio a causa delle parole (si perdoni il gioco di parole), non si può più distinguere l’essere dal non-essere.

Quel legame profondo e genetico tra l’essere e la parola viene reciso per il tramite della cesoia dell’ideologia che ri-semantizza ogni concetto per piegare il pensiero alle proprie esigenze.

Ecco dunque che le parole non esprimono più la verità delle cose, ma il contrario di ciò che le cose sono, il contrario della realtà, il contrario dell’essere.

Si lacera definitivamente il tessuto dell’ontologia su cui si ricamavano le parole come immagini dell’essere; e di tali brandelli si riveste l’ideologia eufemistica contemporanea.

Ecco allora il ruolo della bioetica, cioè di quella forza critica che permette alla coscienza di andare contro un simile mainstreaming denunciando gli errori, evidenziando le contraddizioni della neolingua, cioè focalizzando l’attenzione dell’opinione pubblica nuovamente sulla realtà autentica.

La bioetica, con la sua propria multidisciplinarietà, e con la sua tipica energia critica, ricuce lo strappo tra le parole e l’essere causato dall’ideologia.

Tramite la bioetica, insomma, il potenziale della neolingua, così dirompente per l’essere, viene disinnescato e viene ripristinata invece quella relazione intima tra la parola e l’essere delle cose accessibile mediante la ragione.

La ragione, obnubilata dall’ideologia neologistica, ritrova nuovo slancio e vigore; cioè, in definitiva viene ripristinata la dimensione caratterizzante dell’essere umano, ovvero la sua razionalità.

Nello specchio della bioetica, dunque, viene ad essere riflessa l’essenza stessa dell’essere umano, e le parole tornano così a tradurre quell’essenza del mondo velata dalla neolingua.

In tale prospettiva, l’ordine viene ripristinato: la ragione non è più schiava della realtà, ma è la realtà che viene soggiogata dalla ragione.

La sostanza dell’essere umano, del resto, spiegava già Severino Boezio in altro non consiste se non nell’essere di natura razionale.

L’esercizio della ragione che la neolingua nega e che la bioetica ripristina, dunque, è anche l’espressione della riconciliazione delle parole, del linguaggio nella sua interezza, con l’essere stesso dell’uomo, con l’uomo nella sua totalità.

In fondo, ha ben precisato Martin Heidegger:« Il linguaggio è la casa dell’essere ».

 Aldo Vitale

DIFENDIAMO I BAMBINI E LA FAMIGLIA DAI TENTATIVI DI

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