08/11/2013

Noterelle sul nuovo sindaco di New York. Gli americani sono sempre i primi…

Da varie fonti giornalistiche, quel che segue.

“C’è gente che, in materia di sesso, sta da una parte o dall’altra, mentre per altri esiste solo una vasta area grigia”.

Così, l’afro-americana Chirlane ha spiegato come, dall’essere stata lesbica, è potuta divenire moglie del candidato alla carica di sindaco di Nuova York. Ella, non dicendo d’aver cambiato inclinazione, lascia supporre che sarebbe tuttora disponibile a frequentare la “vasta area grigia”. D’altronde il pudore le impedirebbe di dichiararsi convertita al rientro nella propria sfera femminile, cui pure appartiene a buon diritto, avendo concepito, con il marcantonio Bill De Blasio, un ragazzone dalla cuffiona di capelli crespi, avente un volume che è il doppio della sua testa, e una ragazza più nera che bianca, altresì nell’orgoglio di razza. Già, perché, infine, le razze sono insopprimibili, sono lingue natie che, più le ricacciamo in gola, più il loro accento si fa sentire.

Sì, sto divagando: il pudore… Il pudore di Chirlane McCray sorge a motivo del suo essere un alfiere del movimento per i diritti dei gay. Ella farebbe una gran brutta figura se, col proprio matrimonio, desse qualche riconoscimento alla retrograda quanto esecrabile normalità. Suo marito poi, così all’avanguardia su tutti i fronti dei diritti da acquisire, delle rivendicazioni da soddisfare, avrebbe troppo da perdere avendo una moglie sistemata nel ruolo tradizionale. Egli può menare vanto illimitato della sua sconfinata larghezza di vedute, che dico? della sua appropriazione di tutte le libertà ancora ostacolate, e si appresta ad andare alla loro conquista col piglio del campione senza macchia e senza paura. Egli ne possiede le physique du rôle. Ha un limpido curriculum di progressista. Wikipedia lo garantisce abbondantemente. Fu sostenitore dei sandinisti del Nicaragua, perciò osteggiato dall’amministrazione Reagan. Fece campagna elettorale per Hillary Rodhan Clinton. Sotto il presidente Clinton, e in seguito, svolse diversi uffici pubblici lavorando per le provvidenze sociali. Promosse la legge contro la discriminazione di genere a favore dei transessuali e si è battuto a favore del matrimonio tra due uomini e tra due donne. Abita a Brooklyn con la sua famiglia polirazziale, che lo sostiene in modo eccellente.

Forte di tante benemerenze, sicché i suoi programmi e le sue promesse godono di una impareggiabile credibilità, il De Blasio – che si allontanò per tempo dal padre di origine tedesca, un reduce alcolizzato, e assunse il cognome della madre – è portato sugli scudi, naviga col vento in poppa, eletto sindaco della Grande Mela. Ha potuto farsi beffe delle accuse che gli muoveva il suo rivale del partito repubblicano; il quale lo diceva comunista e demagogo pericoloso. Ha potuto nascondere la pancetta borghese nel suo incedere eretto per le vie dei quartieri popolari e malfamati, acclamato là dove, di notte, non si sarebbe azzardato ad affacciarsi.

Se un newyorkese che solo cinquant’anni fa abbia dato l’eterno addio alla sua città e al mondo intero, dovesse sventuratamente risuscitarvi, resterebbe talmente annichilito e traumatizzato, che si affretterebbe a ricacciarsi sotto terra. Sono sicuro che il suo patrio ottimismo svanirebbe, e tornerebbe a morire dalla vergogna, dovendo riconoscersi progenitore di tanto pervertimento: lui, cresciuto con certi principi di moralità, lui, impregnato dell’aria puritana spirante sulla Costa occidentale.

Ma noi, che conosciamo la intrinseca malizia delle eresie, non ci stupiamo affatto che dal puritano possa essere nato il libertino.

E allora, eccoci noi italiani ancora una volta lasciati indietro, surclassati. Non sarà mai detto che gli Americani restino battuti. Avendo assoluta fiducia nel progresso e nelle loro capacità ad esso applicate, era fatale che lo seguissero a oltranza. Poiché sono indomiti indisposti ad accettare lo scacco, il naufragio, indisposti a rinunciare al grande sviluppo del loro fondamento: la libertà, per cui rinunciandovi crollerebbe loro il mondo addosso; poiché sono quei tali che, in fondo fragili e sprovveduti, dopo qualche sonora sbronza, propendono per il suicidio, non vedono che il suicidio quale scampo alla personale sconfitta: eccoli andare avanti per inerzia, ciecamente, verso quella abnorme proliferazione delle diversità, in fondo alla quale si trova il caos e la follia. Non dico questo di tutti, ma d’una gran parte, che infatti ha votato per il grande e grosso De Blasio, ora tanto più americano in quanto assimilato al Grande Paese per recente importazione familiare e per famiglia in ogni senso eterogenea. Gli autentici USA devono nutrirsi di tali incessanti acquisizioni.

Delle finestre parlanti che ininterrottamente ci vengono aperte sul mondo, di quelle losche e mendaci aperture sulle realtà – da noi mai abbastanza sbugiardate – non ce n’è una che non abbia unto di simpatia, che non abbia svenevolmente offerto i suoi favori al bel tomo di origini nostrane, almeno pel cognome prescelto e per il sangue materno, che non abbia gongolato e non si sia compiaciuta per lui salito così in alto e così vicino all’Italia, faro per gli italiani.

La cretina rincorsa del modello statunitense prosegue dunque senza sosta. Ma ha cessato d’essere la moda, il sogno, il complesso d’inferiorità degli anni Cinquanta, immaturo e allora abbastanza emendabile: è diventata l’allucinata ansia di correre nella scia del povero Icaro o, se si preferisce, dell’apprendista stregone; senza che compaia uno stregone capace di porvi rimedio.

di Piero Nicola

Festini

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