25/04/2016

Obiezione di coscienza individuale e “coscienza collettiva”

Al Consiglio d’Europa e all’ONU, dove si dovrebbero difendere i diritti umani, il “diritto” all’aborto sembra essere preminente rispetto al diritto alla vita dei bambini. Quindi non sorprende che sia prioritario anche rispetto al diritto all’obiezione di coscienza (che è diritto alla libertà di pensiero e di religione).

Nei Paesi dove – in nome dei “diritti civili” – sono state legalizzate le unioni civili o il matrimonio gay, spesso non si riconosce il diritto di esprimere alcun tipo di dissenso rispetto all’essenza o alla morale delle cosiddette “nuove famiglie” (con palese violazione della libertà di pensiero e di parola), e neanche si riconosce il diritto di obiezione di coscienza a chi non volesse collaborare alla celebrazione e ai festeggiamenti per le “nozze gay” (questa è anche una delle tante gravi criticità della nostrana legge Cirinnà, di cui abbiamo trattato qui).

Quanto all’eutanasia, il problema dell’obiezione di coscienza dei medici che volessero rifiutarsi di uccidere il paziente si ripropone daccapo.

In Canada, per esempio, si profila imminente il varo di una legge pro eutanasia e pro suicidio assistito. Ma non è affatto risolto il problema sul se e sul come garantire ai medici il diritto all’obiezione di coscienza.

BioEdge ci informa che uno dei bioeticisti più influenti del Paese, Udo Schuklenk, sostiene che non c’è spazio per l’obiezione di coscienza in un moderno sistema di assistenza sanitaria. I medici hanno l’obbligo etico e giuridico di fornire servizi utili, legali e sociali come l’eutanasia. Se non sono d’accordo cambiassero mestiere, così come fanno tutti coloro che hanno problemi con il datore di lavoro e con i suoi ordini di servizio.

È interessante notare il supporto che questo modo di pensare cerca e trova nel Leviatano di Hobbes, un filosofo del XVII secolo, teorico dello Stato Assoluto, del totalitarismo (e già questo di per sé la dice lunga). Egli sosteneva tra l’altro che  non c’è bisogno di una coscienza individuale: la legge è la coscienza pubblica che guida lo Stato e la comunità. Se la legge cambia, la coscienza individuale deve cambiare, si deve adeguare.

La dottoressa Nancy Naylor, un medico di medicina generale, ha preso alla lettera la pubblicazione di Schuklenk, e ha dichiarato ai media canadesi che andrà in pensione: “Mi rifiuto di lasciare a chiunque o a qualsiasi organizzazione il potere di dettare il mio codice morale”.

E’ giusto così, secondo i detrattori dell’obiezione di coscienza: in definitiva, ciò che conta è ciò che lo Stato ha dichiarato essere legale, non i dettami di una coscienza individuale.

I nostri lettori sanno bene che a livello sostanziale abbiamo comunque molto da obiettare sul diritto all’aborto, sul “diritto” all’eutanasia o al suicidio, su i “nuovi diritti civili”.

Per un momento, però, tralasciamo le questioni sostanziali e soffermiamoci solo ed esclusivamente sul diritto all’obiezione di coscienza.

Per un momento immaginiamo che un tale diritto non vada riconosciuto e garantito dall’ordinamento giuridico, in nome della “coscienza collettiva” e della “giustizia” così come sono espresse dalla legge dello Stato (uno Stato etico, che per legge, quindi decide cosa è bene o male, giusto o ingiusto). Se ciò è vero, sia vero sempre (ci vuole coerenza, che se no riconoscere l’obiezione di coscienza certe volte sì e certe no è arbitrario...).  Quindi:

  • laddove è obbligatorio per legge, non ci si può rifiutare di fare il servizio militare;
  • non ci si può rifiutare di fare esperimenti sulle cavie di laboratorio;
  • i Nazisti che a Norimberga si difendevano dicendo che loro obbedivano agli ordini e alla legge avevano ragione e non dovevano essere fucilati;
  • idem tutti gli esecutori materiali di stragi e genocidi perpetrati dal potere esecutivo di Stati regolarmente costituiti;
  • i medici e gli altri operatori sanitari non possono rifiutarsi di praticare iniezioni letali ai condannati a morte, o mutilazioni genitali alle bambine, o amputazioni, o torture varie, nei Paesi (arabi) ove per esempio il ladri vengono puniti in tal modo;
  • un insegnante cui sia imposto da programma ministeriale insegnare cose false e propagandare ideologie non condivise (non pensiamo al gender, pensiamo ai tempi del nazismo, o del comunismo...), dovrebbe supinamente obbedire alla legge dello Stato e accettare la limitazione della sua libertà di insegnamento;
  • se un domani un governo di un Paese razzista e xenofobo ordinasse alla Guardia Costiera di sparare sui barconi dei migranti – pieni di donne e bambini –  (sarebbe “legale” e “socialmente utile” così come lo è l’eutanasia, secondo  Schuklenk?), i militari coinvolti dovrebbero obbedire senza obiettare.

Gli esempi potrebbero continuare ancora a lungo.

Pensiamoci un po’ su, prima di riconoscere potere “assoluto” alla legge dello Stato.

Francesca Romana Poleggi


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