16/05/2016

Obiezione di coscienza negata dalla Regione Lazio

L’obiezione di coscienza è rimasto l’unico spazio di libertà per l’Uomo che non intende piegarsi alle logiche eugenetiche e di controllo delle nascite della società contemporanea e alla cultura della morte.

È l’ultimo ostacolo che si frappone alla realizzazione di quel totalitarismo a cui tanto aspirano, subdolamente, i paladini dell’ideologia abortista ed omosessualista.

Tale diritto, di conseguenza, è minato sotto più aspetti e, alla luce della recente approvazione della legge sulle unioni civili, che non prevede la possibilità di obiettare anche se disciplina una materia etica, si può tranquillamente affermare che i poteri forti hanno dichiarato guerra aperta all’obiezione di coscienza arrivando al punto di negarla integralmente.

La Regione Lazio ha indetto un concorso per soli ostetrici e ginecologi abortisti, una sorta di selezione di sicari. Quelli che non hanno a cuore la “salute sessuale e riproduttiva delle donne” (di quale salute stiamo parlando? Vogliamo chiedere alle donne in sindrome post-abortiva cosa ne pensano?) sono liberi di cercare lavoro altrove. Ma se l’obiezione di coscienza all’aborto, come dice la stessa legge 194, è un diritto, perché dovrebbe essere escluso da un concorso pubblico chi intende avvalersene?

La risposta fornita dal presidente della Regione Nicola Zingaretti è limpida: «Nel Lazio è stata compiuta una vera e propria rivoluzione. Tenendo conto del numero sempre in aumento degli obiettori di coscienza, ma soprattutto per contrastare la piaga dell’aborto clandestino, abbiamo operato in questi anni per garantire alle donne il diritto di interrompere la gravidanza senza nessun pericolo per la loro salute». Aborto clandestino? In un Paese in cui l’aborto viene proposto quale normale rimedio ad una gravidanza indesiderata, in cui le “pillole che uccidono” (RU-486, Norlevo, pillola dei 5 giorni dopo, ecc.) sono reperibili senza difficoltà, in cui le cliniche abortive sono diffuse capillarmente in tutto il territorio nazionale, davvero è possibile che una donna ricorra alla clandestinità?

È vero che il ministero della Salute rileva che 7 medici su 10 sono obiettori (e questo dato dovrebbe suscitare qualche dubbio, essendo la riprova che l’aborto è un omicidio a tutti gli effetti e che la maggioranza dei medici oggi operanti non intendono sporcarsi le mani di sangue innocente, mantenendo fede al giuramento di Ippocrate per cui “non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo”), ma altrettanto vero è che il 60% delle strutture presenti nel Paese praticano aborti, il che lascia intendere una certa facilità di accesso a tali cliniche. E i medici non obiettori hanno un carico di lavoro irrisorio (meno di 2 aborti a settimana). I tempi di attesa delle madri è inferiore ai 7 giorni.

Una legge non può negare la realtà; la 194 legalizza l’omicidio. Ed è in quel sacro diritto all’obiezione di coscienza che si sprigiona tutta la forza della libertà dell’Uomo che non intende piegarsi alle menzogne del potere, che preferisce fare ciò che è giusto rispetto a ciò che è legale, ciò che si ha il dovere di fare rispetto a ciò che si ha il permesso di fare.

Il potere è attento, astuto, ed impara dai suoi errori: l’obiezione di coscienza non è stata dimenticata, ma è stata volutamente esclusa dalla neonata legge sulle unioni civili, che vuole obbligare i sindaci a disobbedire alla loro coscienza che, per sua natura, risponde al cuore dell’uomo e non al governo, e che, di conseguenza, trascende la legge, supera il Parlamento e resta in piedi tra le rovine.

Elia Buizza


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