27/06/2019

Presta l’utero a suo fratello, ma ci ripensa e vuole tenersi i bambini

Il mercato dell’utero in affitto notoriamente basato sullo sfruttamento della condizione di indigenza delle gestanti, ultimamente sta subendo un cambiamento importante quanto grave: accade sempre più spesso che, scoraggiati dai costi della maternità surrogata a pagamento, le coppie con problemi di sterilità o impossibilità a procreare, perché magari si tratta di coppie dello stesso sesso, si rivolgano ai propri familiari per provvedere alla gestazione dei loro bambini.

Insomma, siamo all’incesto voluto e programmato, vissuto, come ben sappiamo, non solo senza alcuna crisi di coscienza, ma con il solito ricatto del sentimentalismo che vieta a chiunque di dissentire e tanto meno criticare una pratica che, invece, in modo sempre più abominevole, sta contribuendo a deformare, inquinare e distruggere i legami familiari. Tanto più che, ormai, è sempre più frequente il ricorso a un membro della famiglia per risparmiare denaro ma, ovviamente, il costo rimane altissimo in termini emotivi. In questi casi, infatti, ci sono delle complicazioni psicologico-affettive tali, che diventano difficili da gestire, persino dalle coppie che si ritengono più “aperte”: come dire al proprio figlio che, ad esempio, sua zia ha donato gli ovuli e sua nonna ha messo a disposizione l’utero per farlo venire al mondo?

E in tutto questo, per di più, il “love is love”, per quanto ci si sforzi di credere a questa bella bugia, non può andare in soccorso né tantomeno essere utile a risolvere situazioni dai risvolti psico-emotivi così complicate e assurdamente create a tavolino! Una di queste imprevedibili e, in questo caso, inaspettate complicazioni, è stata raccontata da Kim Bergman, nel suo ultimo libro di prossima uscita Your Future Family: The Essential Guide To Assisted Reproduction.

Bergman, che nella vita è psicologa, ha riportato, nel suo scritto, in cui illustra tutti i risvolti negativi della gestazione per altri, un caso avvenuto nel 2009 in New Jersey, dove una coppia dello stesso sesso formata da Donald Robinson e Sean Hollingsworth è stata coinvolta in una lunga, complessa e dolorosa battaglia legale per la custodia del bambino, contro la sorella di Robinson. Infatti quest’ultima, dopo aver portato in grembo i loro gemelli, è rimasta emotivamente legata ai bambini, tanto da aver deciso in seguito, di combattere per ottenerne la custodia dopo la nascita.

Sicuramente il risveglio, nella donna in questione, della consapevolezza di un legame naturale ed emotivo unico, non può che essere considerato un fatto positivo ma rimane l’aberrante situazione di un bambino figlio di due fratelli a cui, in futuro, la situazione dovrà essere illustrata e spiegata e sicuramente non sarà recepita in modo indolore, così come sicuramente non indolori saranno le conseguenze che potrà avere sulla psiche.

Insomma, il dissolvimento dell’istituto familiare procede ormai a passo spedito, a partire dai legami di sangue, per abbattere anche l’ultima barriera che ci costituisce nella nostra identità: quella genetica.

Manuela Antonacci

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