12/12/2018

Processo, parla Silvana De Mari: «La verità trionfa sempre. Io un sassolino nell’ingranaggio»

È in fase conclusiva il processo per diffamazione contro Silvana De Mari scrittrice di libri fantasy, blogger e medico chirurgo, querelata dalle associazioni Lgbt per aver espresso giudizi “politicamente scorretti” sull’omosessualità e la pedofilia. Domani è prevista la discussione e poi dovrebbe arrivare il verdetto del giudice. Nella scorsa udienza la De Mari era intervenuta rivendicando la correttezza delle sue argomentazioni e dimostrando come le sue considerazioni inerenti l’omosessualità nascessero non da convinzioni ideologiche, bensì da dati ed evidenze scientifiche. Il processo ha avuto una forte rilevanza mediatica, anche perché da esso dipende anche il diritto di “pensarla diversamente”, rispetto a un “pensiero unico” che per ciò che riguarda l’ideologia gender sembra non ammettere obiezioni. Chi osa contraddire certi dogmi imposti dalla comunità Lgbt rischia in sostanza di essere imbavagliato o censurato, come avvenuto più volte anche a Pro Vita (vedi la vicenda dei manifesti contro l’utero in affitto). Abbiamo raggiunto la dottoressa De Mari per sapere come sta vivendo questa vigilia.

Ci siamo, domani il suo processo giungerà a conclusione. Come si sente?

«Mi sento benissimo. Questa per me è una maratona, non sono i cento metri. Comunque andrà io porterò avanti le mie battaglie. Questo perché, anche grazie al clamore suscitato dal processo, le mie idee stanno rimbalzando sui media. C’è chi le ha riportate con scandalo, ma le ha dovute comunque riprendere. Nessuno di noi è tanto piccolo da non poter essere un sassolino capace di bloccare un ingranaggio. Non potevo da sola farmi sentire a livello nazionale ed internazionale. Grazie alle denunce presentate contro di me, alle voci scandalizzate delle associazioni Lgbt, ai processi, questo sta invece avvenendo».

L’esito del suo processo rappresenterà anche un punto di svolta: Perché qui c’è in gioco la libertà di poter esprimere pensieri controcorrente. È consapevole di questo?

«Certo, ed è per questo che non mi fermerò in ogni caso, perché ciò che sostengo per me è scientificamente provato. L’omosessualità, termine improprio, visto che la sessualità è soltanto fra un uomo e una donna, è un comportamento biologicamente perdente. Sono la prima a riconoscere che è molto difficile uscirne, ma è altrettanto vero che gli ex gay sono più numerosi di coloro che si professano tali, anche se nessuno lo dice. È anche provato che i rapporti fra persone dello stesso sesso aumentano i rischi di malattie sessualmente trasmissibili, anche quelle come l’epatite A per molto tempo a noi sconosciuta. I gay sono il 2% della popolazione ma nel contempo rappresentano il 50% dei nuovi casi di Aids e l’80% dei nuovi casi di sifilide. Se quello che io sostegno sull’omosessualità è vero, la condanna che ne fa il Cristianesimo ha un notevole senso. Se invece fosse riconosciuta come un qualcosa di assolutamente costituzionale, allora paradossalmente il Cristianesimo andrebbe abolito. Ho scritto un libro intitolato Non Lasciamoci Imbavagliare dove ho raccolte le prime denunce e le prime memorie. Ho riportato le denunce integralmente perché voglio che la voce dei miei avversari venga ascoltata. Le persone hanno il diritto di leggere e giudicare. Penso che la serie di libri che scriverò sarà infinita, perché anche il mio processo diventerà un libro, visto che abbiamo tutte le trascrizioni delle udienze».

Si è sentita spesso trattata come un’eretica in questi mesi?

«Mi sono sentita un’eretica del pensiero unico. Il mio caso ricorda quello del medico ungherese Ignác Fülöp Semmelweis che fu cacciato dalla clinica ostetrica di Vienna che era stato chiamato a dirigere per aver denunciato la verità. Aveva infatti scoperto che nel reparto gestito dagli studenti di medicina, diversamente da quello gestito dalle suore, c’era un’alta percentuale di donne che morivano per parto. Nessuno riusciva a capire perché. Divenuto direttore del reparto, attraverso una serie di verifiche e controlli, arrivò alla più logica delle conclusioni. Gli studenti che facevano partorire le donne svolgevano anche le autopsie sui cadaveri e per spavalderia avevano l’abitudine di non lavarsi le mani e disinfettarsi. In questo modo trasmettevano i batteri dei cadaveri nell’organismo della partoriente, creando le condizioni per la formazione di infezioni che portavano al diffondersi della febbre puerperale e poi alla morte. Obbligò quindi gli studenti a lavarsi le mani con il Fenolo prima di recarsi in sala parto. Anziché essere premiato per questo venne attaccato da più parti e alla fine fu rimosso dal suo incarico. Così gli studenti di medicina continuarono a non lavarsi le mani e le donne a morire dopo il parto. Alla fine questa storia iniziò a diffondersi e tutte le cliniche ostetriche, preso atto che ciò che sosteneva Semmelweis era incontrovertibile, imposero il lavaggio delle mani con il Fenolo prima di far partorire le donne. Quella di Vienna arrivò per ultima. Questo per dire che la verità alla fine trionfa sempre. Prima o dopo, ma trionfa».

Americo Mascarucci

 

Questo articolo e tutte le attività di Pro Vita & Famiglia Onlus sono possibili solo grazie all'aiuto di chi ha a cuore la Vita, la Famiglia e la sana Educazione dei giovani. Per favore sostieni la nostra missione: fai ora una donazione a Pro Vita & Famiglia Onlus tramite Carta o Paypal oppure con bonifico bancario o bollettino postale. Aiutaci anche con il tuo 5 per mille: nella dichiarazione dei redditi firma e scrivi il codice fiscale 94040860226.