21/09/2017

Qual è la nostra natura? Per cosa ha senso vivere?

Viviamo in un mondo dove tutto pare possibile e raggiungibile, dove la varietà e la complessità sono enormi. Un mondo dove si rischia di perdere la nostra vera natura, ed è proprio quello che sta accadendo...

«Il mondo pieno di possibilità è come un buffet ricolmo di prelibatezze che fanno venire l’acquolina in bocca, troppe perché anche il più agguerrito dei buongustai possa sperare di assaggiarle tutte. (...) L’infelicità dei consumatori nasce da un eccesso non dalla penuria, di scelte»

Che cos’è il possibile? Come agisce su di noi la sua esperienza?

Sono molti gli esempi che potrebbero contribuire a risposte efficaci: ciascuna battaglia in difesa della vita, dell’integrità, della libertà e della dignità dell’individuo interpella ciascuno di noi su che tipo d’identità presentare dinanzi alla novità, su quale sia la natura delle cose (e di noi stessi).

Ad esempio, di recente si è tornato a scrivere delle ormai note “Reborn Dolls”, nate negli USA a inizio anni ’90 e ormai diffusissime: bambini (neonati)-bambole, dalle fattezze inquietanti eppure realistiche, convincenti, oltre che ordinabili secondo preferenze componibili con i pezzi del kit in consegna a domicilio contenente testa, braccia, gambe, capelli. Finti bambini, figli fittizi, sostituti credibili. Le testimonianze ormai sono numerosissime, anche grazie ai gruppi nati sui social, nei quali astratti genitori di bambole entrano fra loro in contatto per avere consigli, indicazioni o raccontare la loro vita da non-genitori: vi sono immaginarie madri che sconvolgono baby sitter ingaggiate e pagate per le loro bambole, le quali vengono assunte per addormentarle, cambiare pannolini, andare al parco e quanto di più piacevole questo tipo di possibile è in grado di conferire in ottemperanza al caro prezzo d’acquisto.

Una caccia al tesoro verso la nostra natura

«Qual è l’effetto che un simile possibile ha su di noi?»: è questa l’origine, il punto di partenza dell’insoddisfazione? No, iniziare a concepire l’identità del possibile significa ritornare a volersi definire, ovvero una caccia al tesoro verso la nostra natura, senza ipotizzare di prescindere da essa. Il buffet non esaurisce mai le pietanze e noi, per adattarci, abbiamo fatto in modo di eliminare la sazietà. Reborn Dolls è un fenomeno – fra i tanti – paradossale certo, ma normalmente anormale, serve qui per ricondurci a L’eco della solidità, a quella volontà di credere che vi sia un eccesso definibile, l’ultima definizione che l’antropologia liquida non riesce a distogliere dalla pesantezza, la stessa che chiede: quanto è troppo? Siamo affaticati dall’incombenza di dover assolvere ad ogni desiderio sotto forma di possesso, sicché per non perdere la libertà di trattenere e accumulare, perdiamo e lasciamo andare tutto quello che teneva ancorate a sé bellezza e bene.

In tal senso “fluida” è l’identità che abbiamo smesso di riconoscere pur restando all’interno di un recinto altissimo: il benessere, il poter avere. Tutto questo è la Tana, il recinto della libertà di poter sostituire, a giusto e sbagliato, un discernimento sul nulla poiché è senza la definizione che ogni possibile diviene lecito.

Cosa guardiamo quando parliamo della bellezza? Come agisce su di noi la sua esperienza? Non la risposta, porsi questa domanda sarà il segnale tanto atteso che siamo salvi dal labirinto della Tana, della nostra stessa Tana, la nostra casa.

Giulia Bovassi


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