27/01/2014

Ricordare lo sterminio di innocenti

Non basta un giorno all’anno per riflettere e ricordare il destino di migliaia di persone, centinaia di migliaia, sottoposte a strazianti torture, dolori indicibili ed arbitraria soppressione.
Il progetto di eliminazione di tutti i portatori di malattie genetiche o di malformazioni fisiche è tra quelli che hanno mietuto più vittime: per una sorta di darwinismo sociale che intende disegnare un’umanità nuova, il più possibile priva di imperfezioni fisiche e tare psichiche, un’umanità superiore, coloro che da questo ideale modello si discostano troppo sono da considerarsi degli errori, degli scherzi di una natura malevola che può e deve essere raddrizzata. E così, come si fa con una piantina ancora priva di un fusto resistente quando viene legata ad un sostegno per raddrizzarne l’evoluzione, anche con l’uomo si traccia una linea guida imprescindibile: la ricerca della perfezione genetica, di una razza superiore.
Se questa è di base la piattaforma ideologica su cui ci muoviamo, anche altre sono le motivazioni fondamentali che hanno portato alla soppressione di un numero impressionante di vittime: in primis vi è l’inadeguatezza della società ad accogliere persone non autosufficienti che necessitano di un costante sostegno, servizio che, essendo svolto da strutture pubbliche, ha un costo non indifferente per la comunità nazionale intera.
La ragione più profonda è però l’incapacità di comprendere il senso della vita, equiparata com’è ad un momento biologico che ha un inizio ed ana fine, senza collegamenti orizzontali né, tantomeno, verticali: un individuo isolato in tutto e per tutto, la cui vita è nelle complete disponibilità del senso comune e della cultura dominante volta alla creazione dell’uomo perfetto, posizione che ha trovato totale appoggio, quando non addirittura concime, nelle Istituzioni statuali.
Di qui equipe di medici assoldati dal regime si spertica in ricerche atte a scoprire sempre nuove strade percorribili per epurare la comunità umana da questi “errori di natura”; in ristrettezze di bilancio, poi, ci si focalizza sull’individuazione di un criterio di massima per categorizzare le persone la cui vita è indegna di essere vissuta (lebensunwertes Leben). Così si passano in rassegna ogni malattia genetica, le malformazioni fisiche anche se non ereditarie. Una persona con la sindrome di Down, per esempio, è l’oggetto prediletto di questa cultura della morte.
Uccidere, epurare, annientare: tutto ciò avrebbe dovuto trovare una reazione fortissima nella cosiddetta società civile e nella classe maggiormente coinvolta, quella medica. Le cose invece hanno il segno opposto: le cliniche divengono luoghi in cui si attua con precisione scientifica questo stillicidio, violando il senso della vita e la sfera privata di una famiglia che, magari con un piccolissimo sostegno, anche di ordine spirituale, sarebbe stata in grado, quando non desiderosa, di prendersi cura del malato o definito tale.
Invece no. Per spezzare anche l’ultima forma di resistenza e dare un alibi a tutta l’operazione, si induce a pensare che la soppressione di questo genere di malati sia una cosa positiva per l’umanità – che potrà solo giovarne sul piano evoluzionistico – e compassionevole per il diretto interessato: perché obbligare una persona a vivere in condizioni di totale dipendenza, perché costringerlo a considerarsi diverso dagli altri per tutta la sua vita? È più umano evitargli queste sofferenze, facendolo addormentare senza dolore in un sonno profondo e senza fine.
La morte che arriva tramite queste pratiche viene presentata, infatti, come indolore. Questa è l’altra grande menzogna presentata ad arte dal regime: il trapasso di queste persone non è né facile né tranquillo. Avranno pure delle malformazioni, potranno anche essere affetti da qualche forma di malattia, ma la percezione del doloro non ne risulta di sicuro intaccata.
Anche se ammantato da luccicanti ideologie o da compassionevole spirito umanitario, tali programmi di sterminio generalizzato non possono che configurarsi come omicidi. E, quindi, qui si sostanzia un diritto dello Stato di uccidere i propri cittadini.
È giusto che venga istituzionalizzata una giornata della memoria di questi gravi crimini contro l’umanità.
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Peccato che la descrizione qui sopra riportata, si adatti a più cose.
È volutamente priva di riferimenti storici, quali date e nominativi, perché fotografa perfettamente sia l’Aktion T4, il progetto nazista per l’eliminazione di persone portatori di malattie genetiche e malformazioni, che ciò che accade oggi con una novellata versione dell’eugenetica. Non vi saranno, quantomeno in Europa, campi di concentramento propriamente detti o cliniche atte esclusivamente allo sterminio, ma tramite l’eutanasia e l’aborto selettivo si intendono ugualmente perseguire finalità di darwinismo sociale.
Come leggere altrimenti l’utilizzo della diagnosi prenatale non per fini curativi e preventivi, ma selettivi? Come giustificare lo sbilanciamento delle risorse a favore delle ricerche atte a scoprire eventuali malattie di un feto rispetto a quelle per curarlo? Come spiegare la totale arbitrarietà con cui si può accedere all’aborto, che va a concretizzarsi in selezione artificiosa, addirittura interrompendo la gravidanza se il bambino non è del sesso desiderato? Come arrivare a concepire l’eutanasia per i minori? O l’aborto post natale? O le cause in tribunale in cui “madri” trascinano le strutture sanitarie colpevoli di non aver insistito sulla strada dell’aborto per un figlio con qualche malformazione o sindrome particolare? Perché nascondere dietro la congiura del silenzio il dolore provato da un bambino quando viene tagliuzzato nel ventre materno, smembrato, pezzo a pezzo, avvelenato od ucciso tramite la compressione del cranio?
Non si sta parlando del totalitario Stato di Adolf Hitler ma del regime democratico occidentale. Ma su questo una “giornata della memoria” non vi è.

Redazione

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