23/02/2015

Sei contro il gender? Sei omofobo!

... E se “tutto è omofobia”, è – ovviamente – omofobia dire no all’ideologia gender, anche se questa pretende di sostituire la realtà e la verità dell’uomo con l’arbitrio personale e la tendenza (anche momentanea) dell’individuo.    

Lo smentisce chiaramente un recente inserto di Avvenire, che chiarisce la posizione della Chiesa che condanna le ideologie e le teorie contro l’uomo, ma – da sempre- accoglie la persona, con tutte le sue umane fragilità e i suoi peccati per un cammino pastorale “inclusivo”, ma sempre nella Verità. (Abbiamo riportato l’editoriale qui di seguito)

In un altro inserto che potete leggere cliccando qui, invece, il quotidiano della CEI illustra di nuovo la nostra petizione e ribadisce l’importanza di impegnarsi in questi ultimi giorni a firmarla e farla firmare.

C’è un pericoloso corto-circuito che si sta innescando a proposito della nostra contrarietà alle teorie del “gender” e – in correlazione ambivalente – del nostro atteggiamento nei confronti delle persone omosessuali.

Quasi che un “no” fermo e motivato, più volte ribadito a proposito delle idee che nell’ambito della sessualità pretendono di sostituire il dato di realtà con l’arbitrio personale, fosse da collegare a un atteggiamento di automatica e pregiudiziale ostilità verso le persone omosessuali.

Vogliamo affermarlo ancora una volta e senza fraintendimenti: non è così.

Esprimere valutazioni problematiche e anche critiche esplicite alle convinzioni fondate sulle teorie del “gender” o dell’omosessualismo non significa in alcun modo manifestare avversità verso le persone omosessuali, né coltivare pensieri, pronunciare parole, giustificare azioni anche solo lontanamente contigue alla cosiddetta “omofobia” [che del resto, è un neologismo pericoloso o addirittura privo di significato definito, ndr]. Qualsiasi forma di intolleranza, qualsiasi atteggiamento finalizzato a negare il rispetto e la dignità delle persone – di tutte le persone, in qualunque fase e condizione della loro vita, dal concepimento alla fine naturale – troverà sempre la nostra più ferma condanna.

Se così non fosse dovremmo vergognarci fino al termine dei nostri giorni per aver tradito la verità del Vangelo e quindi quei valori di umanità, fraternità, accoglienza, carità, solidarietà che costituiscono la trama dell’antropologia familiare cristianamente ispirata a cui fanno riferimento, con tutti i limiti umani, questa rivista e tutti gli altri mezzi di informazione del “Sistema Avvenire”. Ma proprio perché l’obiettivo è quello di muoverci, con trasparente fedeltà, in questa prospettiva culturale, non potremo mai dirci d’accordo con teorie che pretendono di sovvertire uno dei fondamenti della nostra convivenza umana, negando la verità fondante del maschile e del femminile. Affermare che la visione ispirata dal “gender”, tra tanti altri effetti devastanti, rende più complicato e scivoloso l’impegno educativo delle famiglie, non vuol dire formulare condanne preventive. Il rispetto per le persone è fuori discussione, e non può essere messo in forse da un dibattito culturale, talvolta aspro, ma giusto e doveroso [cogliamo comunque l’occasione per ribadire, con il Catechismo, che la inclinazione omosessuale è disordinata, in quanto tendenza agli atti omosessuali, gravemente immorali. E tuttavia la persona non si riduce ad una sua “inclinazione”, ndr].

Nell’ampia intervista che pubblichiamo nelle pagine seguenti al professor Mario Binasco, si chiariscono bene i termini storico-politici del problema. Oggi, nel mondo occidentale, il “gender” si è trasformato – e l’esperto lo spiega bene – da teoria socio-psicologica a proposta politica. I suoi sostenitori riescono a infiltrare programmi scolastici e iniziative legislative. Si sta insomma riproducendo, sotto l’involucro del “gender”, quel tentativo di formare una “coscienza di classe” che è tipico di tutte le ideologie politiche. Il passo successivo, di cui già avvertiamo le conseguenze, è la pretesa dell’omologazione, la dittatura del pensiero unico, in questo caso la “gendercrazia”.

La Chiesa ha subito compreso il pericolo derivante da questo clima di intolleranza culturale mascherata da buonismo paritario. Nel corso del viaggio nelle Filippine dello scorso gennaio, papa Francesco ha invitato a rifiutare la “colonizzazione culturale” che rischia di minare dalle fondamenta la vita delle famiglie. Il presidente della Cei, Bagnasco, e il segretario generale Galantino, hanno a loro volta preso le distanze da una “visione antropologica distorta” che non fa bene a nessuno. Neppure, probabilmente, alle persone omosessuali, che rischiano di diventare strumenti nelle mani di lobby preoccupate unicamente di avanzare rivendicazioni politiche e sociali, senza alcuna autentica attenzione al vissuto reale delle persone. Anzi, come abbiamo più volte documentato, “quel” pensiero unico vieta addirittura, a chi ne avverte il bisogno, di prendersi cura del disagio derivante da un orientamento sessuale non accettato. Si nega il diritto di alleviare il malessere interiore, possibile in ogni persona – etero o omosessuale che sia – in nome di una pretesa ideologica.

Proprio per offrire un approccio umano, non segnato da alcun pregiudizio, la Chiesa ha deciso di aprire le braccia in modo ancora più esplicito e trasparente alle persone omosessuali, sollecitando progetti pastorali “organizzati” che sappiano coniugare verità, competenza e umanità. Nel frattempo la nostra pastorale familiare è stata sollecitata ad attrezzarsi per non risultare impreparata di fronte a un tema delicato e complesso. Nelle nostre comunità non mancano percorsi di preghiera e di condivisione pensati per questo obiettivo. Ora questi progetti dovranno diventare strutturali ed allargarsi ad ogni diocesi.

Non sappiamo se e come questi propositi diventeranno davvero prassi ordinaria. Sappiamo con certezza che in questa volontà di bene non c’è nulla di violento, di intollerante e di pregiudizialmente ostile. Sembra che qualcuno se ne dispiaccia, ma dovrà farsene una ragione.

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