03/05/2019

Sull’aggressione in odium fidei a Roma, censurata dalla stampa

Esattamente il giorno prima della terribile catena di attentati avvenuti nello Sri Lanka in diverse chiese del Paese e che ha causato quasi 300 morti e 500 feriti, si è verificato l’ennesimo episodio di “cristianofobia” che stavolta si è svolto praticamente sotto i nostri occhi, ovvero nella nostra capitale.

Stiamo parlando dell’aggressione da parte di un giovane marocchino, presso la stazione Termini di Roma, subita da un georgiano scambiato per un italiano, reo di portare un piccolo crocifisso al collo. L’aggressore, che viaggiava sullo stesso autobus del georgiano, una volta giunto a destinazione, avrebbe inseguito la vittima saltandogli addosso con un coltello da cucina nel tentativo di sgozzarlo e gridandogli «italiano cattolico di merda». L’uomo però, è riuscito a scappare e si è presentato, ancora sanguinante, dai poliziotti presenti in piazza dei Cinquecento, riuscendo anche a indicare l’autore del gesto che è finito in carcere per tentato omicidio, con l’aggravante dell’odio religioso.

“Tutto è bene quel che finisce bene”, si dice, ma certo è che questo ennesimo episodio di violenza a danno di chi osa esibire il simbolo più caro ai cristiani, ci fa riflettere sul clima d’odio crescente che si va creando e alimentando contro di essi. E ormai non parliamo più “solo” delle stragi che avvengono giornalmente in molti Paesi extraeuropei spesso di matrice islamica, ma di un clima culturale fortemente ostile, anticristiano, che si respira ormai da molto tempo nel mondo occidentale.

Pensiamo ad esempio alle battaglie per l’assoluta laicità della scuola, dove si vieta da alcuni anni persino di fare il presepe o si censurano ridicolmente canzoncine che riportano il nome di Gesù, sostituendolo con un improbabile “Perù”. E sì, perché la solfa laicista vuole che si eliminino i precetti morali e religiosi cristiani, insieme ai simboli che li veicolano, con la scusa di evitare “l’ingerenza della Chiesa” nello Stato laico o per “non offendere chi non è cristiano”.

Anche se non si capisce come la battaglia contro i simboli di una religione che per di più appartiene alla maggioranza del mondo occidentale, possa essere considerato un modo coerente per insegnare il rispetto di tutte le altre religioni!

Di fatto, stiamo assistendo a un fenomeno preoccupante che anche i media contribuiscono ad alimentare ovvero a un tentativo sistematico di scristianizzazione della società, presentando spesso, subdolamente, anche le battaglie per la vita e la famiglia come una sorta di giogo che pochi “cattofanatici” vorrebbero imporre a una presunta “maggioranza”, per affermare le loro idee. Ma procedendo di questo passo emerge sempre più chiaramente che, a forza di fare tabula rasa del passato (con tutto il suo corollario di valori) si finisce per fare piazza pulita anche del futuro e spesso per un malinteso senso della laicità che viene oggi concepita, sempre più come, di fatto, l’esclusione della religione dai vari ambiti della società e come suo confino nell’ambito della coscienza e del sentimento individuale.

Con questa scusa, oggi, la stampa e certa politica tendono a censurare gli episodi più vili in odium fidei, evitando alcune volte persino di scrivere il nome “cristiani” o di ricordare la matrice terroristica di certi attentati. Una mancanza di onestà intellettuale che, a lungo andare, rischiamo di pagare cara, con la perdita forzata della nostra libertà.

Fortunatamente dopo i recenti fatti di Roma, il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha inviato una circolare a tutti i prefetti e questori per «aumentare controlli e attenzione in luoghi di aggregazione di cittadini islamici, per prevenire ogni tipo di violenza contro cittadini innocenti». Basta questo? Forse no, ma almeno è un inizio quello di riconoscere la persecuzione, a volte silenziosa, a volte sanguinaria, ma di certo sistematica, di ciò che, piaccia o meno, ci costituisce a tutti i livelli, come popolo, come nazione, come civiltà e che andrebbe per questo preservato come ciò che abbiamo di più caro.

Manuela Antonacci

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