16/10/2014

“Una bambola per Alberto” – Ennesimo libello gender

Di tutti i libri che girano liberamente nelle scuole dei nostri figli non dobbiamo sottovalutare la potenziale portata ideologica e propagandistica gender anche di quelli apparentemente più innocui.

Giusy D’Amico, membro del direttivo di “Non si tocca la famiglia”, prende ad esempio di questa tattica di indottrinamemto gender soft il libro “Una bambola per Alberto” in cui si presenta la storia di un bimbo discriminato perché, in luogo di macchinine e pallone, vorrebbe giocare con le bambole.

E’ di tutta evidenza che i bambini giocano con ciò che trovano interessante e che, qualora un maschio volesse provare ad affiancare ai suoi tradizionali passatempi anche una bambola, la cosa non dovrebbe destare particolari preoccupazioni.

Da che mondo è mondo, è sempre successo: quanti genitori, avendo figli di ambedue i sessi, hanno assistito a scene in cui il gioco era condiviso? Immaginiamo però senza crearsi patemi d’animo o sentendo l’impellente necessità di partecipare ad un convegno gender per comprendere come armonizzare il proprio figlio a qualsivoglia genere decidesse di appartenere.

La divulgazione di libelli come questo è frutto unicamente dell’ossessione per la lotta a quelli che i pensatori gender chiamano “stereotipi”, ma che naturalmente sono frutto di una normale evoluzione nella distinzione dei ruoli.

 

“E’ davvero una lenta, ma studiata instillazione di pensieri, inquinati dagli adulti, estranei ai bambini, almeno in questa forma ossessiva.”

afferma D’Amico, e prosegue:

“Questo non educa alle differenze, ma induce a sentirsi precocemente, rispetto ad una dimensione forse transitoria, qualcuno in cui magari siamo indotti a riconoscerci.”

I bambini hanno diritto di crescere serenamente, senza avere addosso degli adulti che li vogliono convincere a non assumersi le responsabilità che il sesso d’appartenenza comporta.

Redazione

 

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