21/03/2014

Uteri in affitto, l’Europa va alla fiera dell’Est

È la Georgia la nuova frontiera delle gravidanze surrogate, dilaganti nella vicina Ucraina. Fronte comune di ortodossi e cattolici per scuotere le coscienze sopraffatte dalla irruzione della tecno-scienza

«Fra vent’anni l’umanità sarà ancora così come la conosciamo noi da sempre, oppure vivrà una razza umana differente?». Ci accoglie con questa domanda padre Adam, nel suo studio a Tbilisi, capitale della Georgia, circondato da icone e libri che ricoprono ogni centimetro delle pareti e sommergono la scrivania. L’espressione è cordiale e preoccupata insieme, lo sguardo vivace, la barba bianca e importante: padre Adam è archimandrita, ma lo incontriamo in quanto rettore della «St.King Tamar University of Medicine» del Patriarcato della Georgia. Insieme alla Chiesa cattolica georgiana – cioè al vescovo cattolico di Tbilisi, monsignor Giuseppe Pasotto, e a padre Gabriele Bragantini, vicario episcopale cattolico per la cultura e l’ecumenismo – hanno organizzato un simposio presso la Biblioteca nazionale di Tbilisi sul tema dell’utero in affitto e della fecondazione in vitro, e si accingono a celebrarne un altro, seguendo con grande attenzione le inchieste di Avvenire.

Un impegno che non deve sorprendere. In vari Paesi dell’Est europeo infatti la situazione su questo fronte è fuori controllo. L’Ucraina sta diventando la meta preferita dagli europei in cerca di uteri in affitto: la legge infatti consente di registrare come madre effettiva del bambino la madre committente, e non la donna che ha partorito. Questo consente alle coppie che si recano in Ucraina in cerca di madri surrogate di registrare regolarmente il nato, e poi, tornate nel loro Paese, di trascriverne la situazione anagrafica, che a questo punto, come si è visto anche nella recente sentenza del Tribunale di Milano, risulterebbe legittima.
Il condizionale è d’obbligo, perché se dal punto di vista dello Stato di nascita questo percorso viene in qualche modo sanato da alcuni magistrati italiani, la legge 40 prevede sanzioni per chi «in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità». Sanzioni che però, nel caso delle coppie italiane andate in Ucraina, non sono state applicate.

La Georgia è un fronte meno noto ma da tenere sotto attenta osservazione. Anche in questo Paese chi, come padre Adam (che è anche medico), ha a cuore la dignità della persona è consapevole che è la natura stessa dell’umano a essere messa in gioco – pericolosamente in gioco – da certe applicazioni delle nuove tecnologie, e per questo da anni si occupa di bioetica. Un’occasione di incontro con i cattolici, con i quali in questo ambito non ci sono distanze dottrinali, anzi, l’alleanza è robusta e senza ambiguità.
Da anni vengono proposti simposi di bioetica, a sottolineare la condivisione di vedute e di giudizio: un ecumenismo vissuto in quella che considerano la sfida decisiva dei nostri tempi. Hanno iniziato nel 2011, proprio sul problema dell’utero in affitto, coinvolgendo esperti dalla vicina Ucraina, l’anno successivo hanno affrontato la sindrome di Down insieme a Marie-Odile Réthore, già collaboratore di Jerome Lejeune. Nel 2012 si è parlato di eutanasia, e nel 2013 si è tornati di nuovo alla maternità in conto terzi, allargando la riflessione alla fecondazione in vitro.

Tbilisi è un affascinante avamposto della cristianità, alle porte dell’Asia, che ha resistito praticamente a tutto, nei secoli, grazie anche al fortissimo senso identitario della popolazione e alla sua religiosità tenace. La Chiesa cattolica, una piccola minoranza ma significativa e presente, ha contribuito in modo decisivo, da sempre, a valorizzare e tutelare l’identità popolare georgiana. Su tutto questo, l’impatto con la tecnoscienza è stato molto diverso che in Europa: le novità sono arrivate all’improvviso, negli anni ’90, con la caduta dell’impero sovietico. Le biotecniche hanno fatto irruzione in una società in cui il diritto era stato calpestato per decenni dalla dittatura comunista, e nella quale il dibattito pubblico semplicemente non esisteva. Paesi in cui le donne, apparentemente emancipate dall’ideologia comunista, ancora vivono una sostanziale subordinazione alle figure maschili della famiglia e della società. Non a caso sono proprio alcune delle repubbliche ex sovietiche gli “hub”, i punti nodali dei commerci di ovociti e di donne ridotte a uteri in comodato d’uso, gli approdi di un turismo sanitario e soprattutto procreativo, dove non ci si preoccupa più di tanto di mascherare traffici e profitti illeciti.

L’ ultimo simposio è tornato sull’utero in affitto, letto nella cornice della moltiplicazione delle figure genitoriali – madre genetica, madre gestazionale, madre legale, padre biologico, padre sociale, padre surrogato e via dicendo – per cui avere tanti genitori equivale a essere orfani. Gli interventi di padre Adam e di padre Akaki Celidze, sacerdote cattolico georgiano, sono stati una lettura del significato e dell’impatto delle nuove biotecniche, anche con un profilo dottrinale. Le altre relazioni invece hanno riguardato le conseguenze della fecondazione in vitro con particolare riferimento all’utero in affitto. Il mio intervento – «Di mamma ce n’è una sola» – trattava la scomparsa della figura del padre e della madre, e l’avvento della nuova genitorialità gender neutral.

Caterina Bolognese, rappresentante del Consiglio d’Europa in Georgia, ha descritto le preoccupazioni delle istituzioni internazionali di fronte alla maternità conto terzi, un fenomeno che attraversa confini e crea situazioni al di fuori delle leggi. Nadiya Helner, docente di genetica all’Università di Leopoli, ha descritto il dilagare di questa pratica in Ucraina. «Cosa possiamo fare noi in Georgia?» è la domanda che ci si sente porre alla fine. Anzitutto, bisogna porre un giudizio comune e pubblico su queste problematiche, dagli esperti ai religiosi, ma senza escludere la gente comune, domandandosi quale società stiamo costruendo.

di Assuntina Morresi

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