26/04/2019

Utero in affitto: ecco il business in Italia

Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, l’utero in affitto non è così lontano e le coppie interessate non sono affatto tenute a chissà quali rocambolesche trasferte per ricorrervi. Infatti, per imbattersi nella pratica tanto disumana e lesiva della dignità della donna – che in Italia, come evidenziato dalla sesta sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n.2173/2019, è reato anche se è gratis – è sufficiente recarsi a San Marino. Lo ha rivelato il quotidiano La Verità del 25 marzo scorso, con un’inchiesta il cui incipit merita di essere riportato integralmente.

«Comprare una gravidanza dall’Italia è più facile a farsi che a dirsi», esordiva il pezzo a firma di Antonio Grizzuti, che così continuava: «È sufficiente disporre di un indirizzo di posta elettronica, personale sanitario compiacente e ovviamente tanti soldi. A noi della Verità è bastato inviare una mail nella quale raccontiamo di essere una coppia con problemi di fertilità per ricevere, nell’arco di pochissime ore, un riscontro molto dettagliato sulle possibili soluzioni». E tanti saluti alla Legge 40 del 2004, che come sappiamo stabilisce come la cosiddetta maternità surrogata sia a tutti gli effetti un reato.

L’articolo di Grizzuti continua svelando l’escatomage giuridico concesso da San Marino – località facilmente raggiungibile, ma formalmente Stato estero -, grazie al quale si possono effettuare visite mediche che aggirano le nostre leggi. Con un pacchetto, offerto da una società ucraina, che prevede una tariffa standard di 39.000 euro, con 10.000 in più per scegliere il sesso del nascituro. In parole povere, il business dell’utero in affitto è già tra noi. L’industria che lucra su questo squallido mercato – che a livello planetario muove oltre 5 miliardi di euro l’anno, mica bruscolini – hanno infatti trovato, grazie al già ricordato staterello, un modo per allungare i propri tentacoli sulla nostra penisola.

Ora, che fare? Come opporsi a tutto ciò? Dal punto di vista giuridico e politico, una buona soluzione può senz’altro essere quella proposta dal Congresso mondiale delle famiglie di Verona a fine marzo e già rilanciata da politici come Giorgia Meloni, vale a dire la formalizzazione di una moratoria universale contro l’utero in affitto. Dal punto di vista culturale, invece, il discorso è più ampio e certamente appare prioritaria una cosa: prestare attenzione alle pressioni mediatiche pro maternità surrogata, che sono esercitate anche, se non soprattutto, attraverso la televisione.

«Proprio l’argomento dell’utero in affitto», scrive nel suo libro, La cultura della morte, il giornalista Stelio Fergola, «è propagandato con grande energia dalle serie americane. Non che chiaramente se ne parli in ogni dove, ma quando ricorre viene proposto senza tanti complimenti e, ovviamente, in un’ottica completamente permissiva». Gli esempi al riguardo, in effetti, non mancano. In Friends, ricorda sempre Fergola, Phoebe, una delle protagoniste, decide di portare in grembo l’ovulo fecondato del fratello e dell’anziana consorte, mentre in Everwood una donna di nome Nina vende il proprio utero per consentire a una signora di 55 anni di avere un figlio.

Alla luce di tutto questo, per tornare all’interessante quanto sconvolgente inchiesta de La Verità, è importante non abbassare la guardia e non arrivare a pensare che, siccome è reato, allora l’utero in affitto è qualcosa di lontano dall’Italia. Sbagliato, non è così. Perché si tratta di una realtà, come usa dire, davvero dietro l’angolo; o il confine, nel nostro a caso. Sta quindi a noi restare vigili contro quello che è a tutti gli effetti un inumano sfruttamento della donna e una gravissima lesione del diritto del minore, ridotto già in tenera età, anzi ancor prima del parto, a mera merce di scambio.

Giuliano Guzzo

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