11/06/2019

Utero in affitto: nuova trascrizione illegale a Rimini

L’utero in affitto, oltre che profondamente immorale, in Italia è qualcosa di totalmente illegale. Lo affermano in modo chiaro la legge italiana, la Corte costituzionale secondo cui esso «mina le relazioni umane», (sentenza 272/2017), e lo ha recentemente sottolineato, con la recente sentenza n. 12193 dell’8 maggio scorso, pure la Corte di Cassazione la quale, peraltro a Sezioni unite, ha ribadito la propria contrarietà a tale inumata pratica.

Ciò nonostante, ci sono nella nostra penisola, qua e là, Amministrazioni comunali che non solo ignorano detti pronunciamenti, ma agiscono e operano in sfregio a essi, come se nulla fosse. Come succede a Rimini, dove il Sindaco, Andrea Gnassi, ha recentemente disposto l’iscrizione all’anagrafe di due gemelli di una coppia omosessuale. Un gesto che ha generato l’immediata reazione politica delle minoranze, con il consigliere leghista Marzio Pecci, che giovedì scorso ha subito presentato un’interrogazione in Consiglio comunale volta a far luce sull’accaduto.

«La vicenda», ha dichiarato il consigliere Pecci, «non può essere taciuta perché non è accettabile che un Sindaco, quale Amministratore deputato a garantire la legalità e, quindi, il rispetto delle norme, contribuisca, con i suoi atti, alla violazione delle norme e alla mercificazione del corpo della donna per avallare l’egoismo di qualche essere umano o per narcisismo personale». Parole, quelle del consigliere leghista, molto dure ma dalle quali, in realtà, non è semplice dissociarsi.

Sì, perché la condanna che queste parole esprimono risulta a tutti gli effetti in linea con i più recenti e autorevoli pronunciamenti della magistratura italiana oltre che, ça va sans dire, con la vituperata legge 40 del 2004, il cui articolo 12, al comma 5, tutt’ora stabilisce che «chiunque, in qualsiasi forma» realizzi, promuova o semplicemente pubblicizzi «la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità» sia «punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro».

Ora, com’è possibile dinanzi a pronunciamenti così limpidi non prendere atto che l’utero in affitto è un crimine e che la trascrizione di figli nati all’estero – che riconosce la paternità di chi li ha comprati – rappresenta un gesto politico contrario alla dignità umana? Ha senso chiederselo, tanto più se si pensa come la cosiddetta maternità surrogata sia una pratica avversata non solo dal mondo cattolico e conservatore, ma anche da quello progressista. Lo si è visto in modo evidente nel febbraio 2016, quando a Parigi si è tenuto un memorabile convegno per l’abolizione universale dell’utero in affitto organizzato da tre sigle insospettabili di simpatie conservatrici: Cdac, Collettivo diritti delle donne guidato da Maya Surduts e Nora Tenenbaum, Clf, Coordinamento lesbiche francese presieduto da Jocelyne Fildard e Catherine Morin Le Sech, e Corp, Collettivo per il rispetto delle persone.

Anche in Italia, come noto, settori importanti del movimento femminista si sono mobilitati contro la cosiddetta maternità surrogata. Si pensi, su tutte, a una rappresentante storica e nota a livello mondiale come Luisa Muraro, autrice peraltro di un libro dal titolo inequivocabile: L’anima del corpo. Contro l’utero in affitto. Ora, com’è possibile che quanto è chiaro sulla disumanità dell’utero in affitto, lo si ripete, non al mondo conservatore bensì a quello femminista e a quello lesbico, non sia compreso da alcuni nostri Comuni? Pare davvero il caso di chiederselo. Perché la verità sull’utero in affitto è veramente lampante. Per chi non ha i paraocchi, s’intende.

Giuliano Guzzo

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