02/02/2017

Eutanasia – Dopo 18 anni di coma, muore in un abbraccio

Quando si parla di eutanasia, si parla di persone, di famiglie, di sofferenza... si tocca con mano la nostra umanità, così preziosa e nel contempo così fragile.

Qualcuno sostiene che il tema del fine vita, come quello dell’inizio, sia un tema strettamente personale. Non è così: se un bambino viene abortito, o un anziano viene ucciso, ne paghiamo le conseguenze tutti. La vita non può essere soggetta a scelte, che peraltro potrebbero cambiare e delle quali ci si potrebbe pentire.

La vita è un dono prezioso e all’eutanasia c’è un’alternativa: la compassione, quel “patire cum” che oggi non va più di moda perché la sofferenza viene rifuggita. Si è perso il senso del soffrire, e questo in relazione alla sempre più massiccia perdita di Fede.

Nonostante tutto, comunque, sono tante le storie di persone e famiglie che hanno detto «No» all’apparente “facile” scelta dell’eutanasia e che testimoniano la fecondità di una malattia vissuta insieme.

È questa la storia di Andrea Achille, friulano di 41 anni, che si è recentemente spento tra l’abbraccio dei suo familiari e dell’intero paese dopo 18 anni di coma, a seguito di un incidente stradale avvenuto nel 1998.

Le similitudini con il caso di Eluana Englaro sono tante, ma qui il fine è lieto, pur nel dolore della morte. Andrea – anche lui, come Eluana, in grado di respirare autonomamente – non è stato fatto morire di fame e di sete, ma è stato accudito con amore e dedizione, diventando un vero punto di riferimento per tutta la gente del circondario.

Scrive il Messaggero Veneto: «Era il 1998, infatti, quando Andrea Achille, che allora lavorava alla Bpt, fu coinvolto in un incidente stradale. Si trovava, da passeggero, in un’auto che, in comune di Giai di Gruaro, finì contro un platano. Il giovane non si è mai risvegliato dal coma: da allora è stato assistito nella propria abitazione dai genitori. Nel 2010, la Pro Pordenone aveva consegnato loro una Stella di Natale, riconoscimento annuale a quanti si distinguono per bontà e dedizione verso il prossimo. Il sodalizio aveva voluto mettere in luce la loro assistenza costante e tenace, quanto silenziosa, senza mai chiedere aiuti o riconoscimenti».

Diciotto anni sono lunghi e di certo le fatiche non saranno mancate, per la famiglia Achille. Eppure la loro storia è una grande testimonianza per tutti: il valore della vita non è quantificabile secondo parametri di prestanza o di utilità sociale. Inoltre, come emerge chiaramente dal racconto, anche la sofferenza può essere generativa: di amore, di legami, di solidarietà... di umanità.

Teresa Moro


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