11/06/2013

La Cassazione: “Non si può imporre il divorzio al coniuge che cambia sesso”

Ndr: Non uscire da te stesso, ma rientra in te stesso: nell’intimo dell’uomo risiede la verità.” Già duemila anni fa, Sant’Agostino vedeva potente attorno a sé la tendenza che l’uomo d’ogni tempo ha di andare a prevaricare, a stravolgere quella che è la sua naturale costituzione. L’uomo che perde se stesso, la consapevolezza di ciò che è e della sua chiamata nel mondo, in una parola, l’uomo che perde la verità, costituisce ogni sorta di lambicchi, di sotterfugi atti a piegare se stesso e la realtà al suo capriccio di un momento, al bene che gli sembra in quell’istante di percepire: questi, dunque, diviene schiavo della sua stessa volontà e di ogni cosa che c’è al mondo. Ecco, dunque, che anche l’unione la quale naturalmente accomuna un uomo ed una donna, oggi, non è più verità; ma viene usata a pretesto per secondare la smisurata ed illusoria pretesa da parte della volontà del singolo di divenire signora assoluta e ordinatrice di ogni cosa. E se questo non fosse possibile perché in contrasto con i principî che l’uomo stesso ha riconosciuto a presidio della sua umanità? Beh, allora si creino nuovi principî che garantiscano -magari nell’ombra, come un ladro nella notte- a ciascuno la liceità di secondare le proprie istintuali pulsioni, in barba ad ogni riconoscimento di umanità. Dov’è mai la tanto decantata ragione quando serve? Quella che segue è una prova in tal senso.

Dubbi di legittimità costituzionale sulle norme che impongono lo scioglimento automatico del matrimonio di chi, sposato, decide di cambiare sesso. A sollevarli è la prima sezione civile della Cassazione, che, con un’ordinanza depositata oggi, ha deciso di inviare gli atti alla Corte costituzionale.

Il collegio di `ermellini´, presieduto da Maria Gabriella Luccioli, chiede, in particolare, alla Consulta di verificare la legittimità degli articoli 2 e 4 della legge n.164/1982, che regola le rettificazioni di sesso. Per la Suprema Corte, infatti, tali norme violerebbero gli articoli 2 (diritti inviolabili della persona), 3 (principio di uguaglianza), 24 (diritto di difesa) e 29 (famiglia e matrimonio), nei punti in cui dispongono che «la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso provoca l’automatica cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso senza la necessità di una domanda e di una pronuncia giudiziale» e che, sia chi cambia sesso che il coniuge, non abbiano «diritto di opporsi allo scioglimento del vincolo coniugale» in alcun tipo di giudizio.

Inoltre, nell’ordinanza depositata oggi, la Cassazione solleva dubbi di violazione del principio di uguaglianza per «l’ingiustificata disparità di regime giuridico tra l’ipotesi di scioglimento automatico, operante `ex lege´ del vincolo coniugale» previsto dalla norma sulla rettifica di sesso e alcune ipotesi previste dalla legge sul divorzio.

La vicenda, in particolare, riguarda una coppia emiliana: il marito, nel 2009, decide di cambiare sesso. Dopo la pronuncia di rettifica di sesso, l’ufficiale di stato civile aveva annotato nel registro degli atti del Comune di Bologna, la cessazione degli effetti civili del matrimonio del transessuale. La coppia, dunque, si era rivolta al giudice civile per chiedere la cancellazione di questa annotazione e il tribunale di Modena aveva dato loro ragione, rilevando che «l’annotazione di scioglimento del matrimonio per l’avvenuta rettificazione di attribuzione di sesso può eseguirsi solo in ragione di una sentenza dell’autorità giudiziaria che dichiari la cessazione del vincolo coniugale». La Corte d’appello di Bologna, invece, accogliendo il ricorso del ministero dell’Interno, aveva ribaltato il verdetto sostenendo che «consentire il permanere del vincolo matrimoniale, rettificato che sia il sesso dei coniugi, significa mantenere in vita un rapporto privo del suo indispensabile presupposto di legittimità, la diversità sessuale dei coniugi, dovendosi ritenere tutta la disciplina normativa dell’istituto rivolta ad affermare tale requisito». La Cassazione, a cui si era quindi rivolta la coppia, ha dichiarato «rilevanti e non manifestamente infondate» le questioni di legittimità indicate nel ricorso e trasmesso gli atti alla Consulta.

Fonte: La Stampa

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