27/10/2012

L’aborto è un diritto? «Mai. L’Onu, sotto pressione delle lobby, rischia di creare una cultura disumana»

«La Santa Sede non approva alcun tipo di strumento legislativo che dia riconoscimento giuridico all’aborto. Molti Stati all’Onu sono stati influenzati dalla prevalente “cultura della morte” che vede il valore della vita umana dalla prospettiva della sua utilità o del suo contributo al funzionamento economico della società». L’analisi dell’Osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite, il nunzio apostolico Silvano Maria Tomasi, è di quelle che fa venire l’orticaria a chi ama il politicamente corretto ed è un forte segnale di dissenso. Il Consiglio Onu per i diritti umani ha varato nei giorni scorsi una risoluzione sulla “mortalità e morbilità materna prevenibile e i diritti umani” che contiene una apertura all’innalzamento dell’aborto a diritto umano. In particolare, «i diritti alla salute sessuale e riproduttiva» sono stati inseriti tra le «buone pratiche» che implicano «obblighi di diritti umani». È bene ricordare che nel gergo tecnico dell’Onu, «salute riproduttiva» significa aborto. A tempi.it l’arcivescovo Tomasi, che è Osservatore a Ginevra dal 2003, dichiara che per la Chiesa «a nessun tentativo volto a legalizzare l’aborto si può accordare una “legittimità morale”» e che «ci sono due culture a confronto: una che parte dalla natura e le sue leggi e l’altra emersa dalla rivoluzione sessuale del ’68 e incentrata sulla soddisfazione dell’individuo senza che assuma la responsabilità delle conseguenze delle scelte che opera».

Eccellenza, si sta cercando davvero di creare un nuovo diritto?
Ci sono due culture a confronto, una che parte dalla natura e le sue leggi e l’altra emersa dalla rivoluzione sessuale del ’68 e incentrata sulla soddisfazione dell’individuo senza che assuma la responsabilità delle conseguenze delle scelte che opera. La giusta rivendicazione dei diritti della donna entra nel dibattito culturale condizionata però da un’interpretazione che sostenga la nuova cultura. La radice della difficoltà mi pare stia qui, nella visione diversa della persona umana e della sua vera dignità. Ricordo che quando partecipai alla Conferenza del Cairo su popolazione e sviluppo nel 1994, molti governi, organismi multilaterali, compresi alcuni all’interno del sistema delle Nazioni Unite, come anche organizzazioni non-governative, hanno sistematicamente cercato di modificare il termine “salute sessuale e riproduttiva” e hanno poi inserito “salute e diritti sessuali e riproduttivi” in diversi documenti delle Nazioni Unite e di organizzazioni internazionali. Ad oggi, comunque, nessun strumento giuridico vincolante delle Nazioni Unite ha riconosciuto tale diritto.

Il tentativo di Navi Pillay, Alto Commissario Onu per i diritti umani, però è chiaro. La Santa Sede è preoccupata?
Lo sforzo recente dell’Alto Commissario per i diritti umani per promuovere l’accesso al cosiddetto “aborto sicuro” o “contraccezione d’emergenza” come “buone pratiche” nella prevenzione della mortalità e morbilità materna rappresentano un altro tentativo in questo senso. A partire dalla Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo del Cairo e di nuovo in occasione della Conferenza internazionale sulle donne, svoltasi a Pechino nel 1995, la Santa Sede ha espresso le sue forti preoccupazioni su tali politiche. Ha affermato con forza e chiarezza che non considera l’aborto o “i servizi per l’aborto” una dimensione della salute riproduttiva e dei servizi legati alla salute riproduttiva. Ogni volta che queste discussioni ricominciano alle Nazioni Unite, le Delegazioni della Santa Sede riaffermano le sue dichiarazioni e ribadiscono inoltre che essa non approva alcun tipo di strumento legislativo che dà riconoscimento giuridico all’aborto. La preoccupazione della Santa Sede è la salvaguardia della persona umana e dei suoi diritti inalienabili come quello alla vita.

L’aborto oggi è depenalizzato in moltissimi paesi nel mondo ma una sua eventuale trasformazione in «diritto internazionale» gli darebbe una legittimità anche morale. Eppure si parla pur sempre di bambini che muoiono ancora prima di nascere.
A nessun tentativo volto a legalizzare l’aborto si può accordare una “legittimità morale”: questa è la posizione della Santa Sede. Il Catechismo della Chiesa Cattolica non lascia spazio ad alcun dubbio su questo punto: «Il diritto inalienabile alla vita di ogni individuo umano innocente rappresenta un elemento costitutivo della società civile e della sua legislazione. (…) Quando lo Stato non pone la sua forza al servizio dei diritti di ciascun cittadino, e in particolare di chi è più debole, vengono minati i fondamenti stessi di uno Stato di diritto (n.2273)». Il diritto alla vita e all’integrità fisica di ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale è inalienabile.

Che tipo di cultura si cela dietro al tentativo di trasformare l’aborto in diritto? I bambini che devono nascere non hanno diritti?
La Santa Sede continuerà la sua forte opposizione ai tentativi di includere l’accesso all’aborto come un diritto internazionale. Ci troviamo ad affrontare, tuttavia, molta resistenza da parte di Stati che sono stati influenzati dalla prevalente “cultura della morte” che vede il valore della vita umana dalla prospettiva della sua utilità o del suo contributo al funzionamento economico della società. Un’altra influenza forte e negativa in questo dibattito è rappresentata dall’esclusivo riconoscimento dato ai “diritti dell’individuo” senza riconoscere allo stesso tempo le responsabilità di tutti in particolare verso le persone più vulnerabili della famiglia umana, compresi gli infermi, i non-nati, gli anziani e le persone con disabilità. Mi pare che dimenticando il fondamento naturale dei diritti la comunità internazionale si avvii verso la definizione di un diritto in base al consenso della maggioranza e in questo caso le conseguenze potrebbero essere tragiche e si creerebbe una cultura disumana.

Navi Pillay ha anche previsto «l’allocazione delle maggiori risorse possibili per la “salute sessuale e riproduttiva”». Perché l’Onu spinge tanto in questa direzione?
Le strutture delle Nazioni Unite, tra cui l’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani, sono sotto forte pressione da molti governi occidentali o del Nord, gruppi di attivisti e organizzazioni di pianificazione familiare per promuovere strategie di controllo della popolazione al fine di affrontare quello che dicono essere «una crisi globale di sovrappopolazione». Inoltre, alcuni di questi stessi soggetti sono attivi nel processo di promozione dei cosiddetti “nuovi diritti” per i gruppi che desiderano “giustificare” il loro comportamento sessuale attraverso il riconoscimento e  l’approvazione legale così da imporre alla società, alla grande maggioranza della gente che mantiene una sensibilità religiosa e del senso naturale, un modo di vivere dannoso al bene comune. Alcuni governi hanno anche deciso di legare gli aiuti devoluti alla cooperazione internazionale al “progresso” di governi a basso e medio reddito nell’attuazione di tentativi legislativi di legalizzare l’accesso all’aborto, al matrimonio tra omosessuali, ecc. La lobby per far avanzare questi nuovi diritti gode di un buon appoggio finanziario e mediatico ed è molto attiva nelle “halls” delle Nazioni Unite.

Molti paesi, tra cui purtroppo non c’è l’Italia, hanno manifestato il loro dissenso davanti alla risoluzione del Consiglio Onu per i diritti umani. Come ha reagito la Santa Sede?
Ci sono stati discussioni accese durante i negoziati che hanno preparato la Risoluzione del Consiglio dei diritti umani a cui fa riferimento. La Santa Sede ha partecipato attivamente in questi dibattiti. Abbiamo messo in chiaro durante le sessioni di negoziazione e durante la sessione del Consiglio stesso che un’attenzione sbilanciata alla salute sessuale e riproduttiva non riesce ad affrontare le complesse e sottostanti cause responsabili per la mortalità e morbilità materne in maniera integrata e completa e in un modo che rispetti la piena dignità di tutti i membri della famiglia. La Santa Sede ha contestato la pretesa avanzata, in questo Rapporto dell’Alto Commissario sulla morbilità e mortalità materne, che «se le leggi sull’aborto sono troppo restrittive, le risposte da parte di fornitori di servizi, della polizia e di altri attori possono scoraggiare comportamenti che ricercano un rimedio», insinuando in questo modo che la mancanza del cosiddetto aborto “legale” è una causa di mortalità materna. Abbiamo mostrato che evidenza contraria poteva essere trovata in una relazione del 2010 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che, riporta che nel corso del 2008, tre paesi che hanno permesso l’aborto “legale”, cioè, Guyana, Etiopia e Nepal, avevano un numero significativamente più elevato di mortalità materna per 100.000 nati, di tre paesi, dalle loro rispettive regioni, che non hanno permesso l’aborto, cioè, Cile, Mauritius e Sri Lanka. La Santa Sede ha lavorato con altri Stati che condividono la sua preoccupazione cercando di proporre delle formulazioni alternative per la Risoluzione che alla fine è stata approvata dal Consiglio. Anche se qualche Stato ha accettato alcuni di questi suggerimenti, li ha in seguito rimossi dal cosiddetto testo del “consenso” e il Consiglio ha adottato la Risoluzione che abbiamo attualmente.

di Leone Grotti

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